PALERMO – Il racconto sconfina nel surreale. Ma Antonio Candela giura che sia tutto vero. Giuseppe Taibbi, il faccendiere finito assieme a lui agli arresti domiciliari, gli aveva fatto credere che fosse un agente dei servizi segreti e che avesse bisogno dell’aiuto dell’ex manager dell’Asp di Palermo per snidare il malaffare nella sanità siciliana.
Il 26 maggio scorso Candela si era avvalso della facoltà di non rispondere nel corso dell’interrogatorio di garanzia. Oggi pomeriggio, su sua richiesta, è stato interrogato dai pubblici ministeri di Palermo.
Da due mesi l’ex manager dell’Asp 6 di Palermo e responsabile della struttura anti Covid della Regione siciliana si trova agli arresti domiciliari per corruzione. Nelle scorse settimane il Tribunale del Riesame ha respinto la sua istanza di scarcerazione.
Per cinque ore è stato sentito dai pubblici ministeri Giuseppe Antoci e Giacomo Brandini, accompagnato dal suo legale, l’avvocato Giuseppe Seminara. Ha negato di avere preso tangenti. Mai, neppure un euro, e ha ammesso di essere diventato una sorta di marionetta nella mani di Taibbi che lo avrebbe manovrato a sua insaputa.
Candela sostiene di avere davvero creduto che Taibbi fosse un uomo dei servizi segreti, che volevano stanare il malaffare. E avevano bisogno dell’ex manager. I loro rapporti sarebbero iniziati nel 2016 e sono andati avanti anche quando a Candela non fu rinnovato l’incarico all’Asp.
Taibbi avrebbe millantato legami, tra gli altri, con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, l’ex premier Paolo Gentiloni e l’allora ministro dell’interno Marco Minniti. Il suo telefono squillava in continuazione e apparivano i numeri del centralino dei più imprtanti uffici istituzionali.
Secondo gli investigatori, usava un programma informatico per taroccare il numero. Era lui stesso a dire a Candela, intercettato e ridendo: “… non ti preoccupare casomai ti ascolta Putin da questo numero”.
Il grande nemico di Candela era diventato Fabio Damiani, arrestato nello stesso blitz di fine maggio, quando era manager dell’Asp di Trapani ed ex responsabile della centrale unica di committenza per gli appalti della Regione. Candela sospettava di lui e credeva, così riferisce ai pm, di lavorare con Taibbi al servizio del bene.
Nel frattempo Taibbi avrebbe curaro solo i suoi interessi, altro che servizi segreti. Ad esempio facendo transitare anche l’Asp sotto la regia della centrale unica di committenza. Passaggio che avrebbe consentito maggiori guadagni a Tecnologie Sanitarie. Roberto Satta, responsabile operativo della società, una di quelle che avrebbero pagato tangenti in cambio di un aiuto negli appalti, discuteva con Giuseppe Taibbi: “… io vorrei capire però… voglio capire io però i termini … tariffari”.
Per Taibbi, come raccontava egli stesso alla moglie, non era una questione di poco conto perché “mi busco (guadagno) all’assistenza tecnica, mi busco io personalmente 15 mila euro al mese per cinque anni… io per nove anni m’incasso 15 mila euro al mese… senza fare una emerita minchia”. E si poteva anche guadagnare molto di più, da “15 a 100.000 euro al mese da dividere in due”, a condizione che “la minchia innevata (Damiani, ndr) si fosse decisa a firmare”.
Con chi avrebbe dovuto dividere i soldi? Secondo l’accusa, con Candela, a cui sarebbe stato consegnato più volte denaro in contanti recuperato tramite le fatturazioni della ditta Medical System srl di Taibbi alla Tecnologie Sanitarie per “apparente manutenzione di strumenti ecografici in dotazione all’Asp”.
Una volta ricevuti i pagamenti tramite bonifici i soldi sarebbero stati girati a Candela nel corso di diversi appuntamenti. Quanti soldi? I finanzieri ritengono che il prezzo della corruzione sia stato di 260 mila euro da dividere fra Candela e Taibbi, ma la promessa era di raggiungere più 800 mila euro.
Candela oggi spiega che non ha ricevuto denaro. È vero, si vedeva quasi giornalmente con Taibbi ma solo ed esclusivamente perché insieme dovevano salvare la sanità siciliana dal malaffare. Non si era accorto di nulla, lo ha capito solo dopo avere letto l’ordinanza di custodia cautelare chiesta e ottenuta dai pm coordinati dal procuratore aggiunto Sergio Demontis.
Si fidava di Taibbi e del racconto delle sue mirabolanti imprese in giro per il mondo per sconfiggere il terrorismo. Pure questo gli avrebbe raccontato. E nella memoria del telefonino Candela conserva i messaggi che lo confermano. Un racconto surreale tutto da verificare.