Turi Cappello nel mirino della polizia. Confiscato il ristorante del boss

Turi Cappello nel mirino |Confiscato il ristorante del boss

L'indagine è stata condotta dal pool di poliziotti della Divisione Anticrimine e della Squadra Mobile etnea.

CATANIA – Lo avevamo lasciato lo scorso luglio con la richiesta (forse provocazione) al presidente Sergio Mattarella: “Fucilatemi”. Oggi si torna a parlare del capomafia catanese Turi Cappello per un provvedimento patrimoniale emesso dal Tribunale – Misure di Prevenzione. Finiscono nelle mani dello Stato alcuni beni del padrino ormai da decenni detenuto al 41bis. In particolare un ristorante a Napoli dal nome “I 2 Vulcani”.

Il ristorante del boss

La confisca della società operante nel settore della ristorazione napoletana è arrivata al termine di un precisa e delicata indagine patrimoniale del pool di poliziotti della Divisione di Polizia Anticrimine e della Squadra Mobile catanesi. Chiusa l’inchiesta è arrivata la richiesta di sequestro firmata dal Questore e dal Procuratore, che è stata accolta nel 2019. La scorsa settimana è arrivato il decreto di confisca del Tribunale.

“Illecita provenienza”

Il pilastro della misura di prevenzione è “l’illecita provenienza” dei capitali che sarebbero stati alla fonte della società finita in amministrazione giudiziaria. Secondo l’accusa i ristoranti, insomma, sarebbero riconducibili al boss Salvatore Cappello che nel suo curriculum criminale annovera condanne per mafia, omicidi, droga, estorsione, rapine e armi. E ancora oggi è considerato ‘il capo storico’ e indiscusso del clan che porta il suo nome.

“I 2 Vulcani”

Il ristorante confiscato si chiama “I 2 Vulcani”, quasi un modo – secondo gli investigatori, per “evocare” l’unione tra l’Etna e il Vesuvio, cioè da una parte la terra d’origine del capomafia e dall’altra la patria della storica partner Maria Campagna, con cui condivide un processo ancora in corso scaturito dalla maxi inchiesta Penelope scattata nel gennaio 2017. Confiscati oltre il locale anche un immobile intasato al figlio Salvatore Santo Cappello (sempre nel capoluogo campano) e una moto intestata alla ‘madrina’. Il valore della confisca – secondo le stime degli investigatori – è di circa 100 mila euro.

L’inchiesta

L’inchiesta alla base del provvedimento ha “analizzato la crescita delle capacità patrimoniali di Salvatore Cappello in un arco temporale che va dal 2004 al 2017, accertando così – argomentano gli inquirenti – una serie di investimenti orientati sia all’acquisto di beni, sia all’avvio di esercizi pubblici e di imprese che, seppur formalmente intestati a familiari e a terzi (ritenuti teste di legno, ndr), sarebbero tutti pienamente riconducibili a Turi Cappello e a Maria Campagna”.

Chi è Turi Cappello

Salvatore Cappello è stato capomafia e un killer spietato. È tra i protoginisti della mattanza che a Catania si è consumata tra gli anni 80 e 90. Arrestato da latitante a Napoli (sic!) nel 1992 insieme al suo fidatissimo boss Ignazio Bonaccorsi. Un legame da cui poi nasce il binomio mafioso – ancora attualissimo – della famiglia Cappello-Bonaccorsi.

Turi Cappello è stato il “delfino” del boss Salvatore Pillera (detto Turi Cachiti) che dopo il suo arresto lo scelse come suo ‘erede criminale’. Una decisione che scatenò la rabbia di Pippo Sciuto ‘Tigna – poi ucciso – che dichiarò guerra ai Cappello, affiancato dai Laudani. La faida provocò centinaia di morti.

Gli ordini dal 41 bis

I pentiti raccontano che ‘nonostante la detenzione’ il capo indiscusso – quello che porta il nome – è Turi Cappello. Il boss – come anche documentato da alcune intercettazioni finite in diverse inchieste della Dda etnea degli ultimi quindici anni – sarebbe riuscito a mantenere i contatti con l’esterno, inviando ordini e messaggi. Molte volte attraverso alcune lettere ad alcune donne.

Ma per gli investigatori la sua cerniera con Catania e i suoi sodali sarebbe stata Maria Campagna, la sua storica compagna, che avrebbe svolto il ruolo di messaggera. Qualche anno fa dal 41bis partirono delle lettere ad alcune donne “considerate sospette”.

Ma non è stata la prima volta che il boss catanese è stato protagonista di “rapporti epistolari” certamente singolari. Nel 2005, nell’inchiesta Ramazza Cappello sarebbe riuscito a “mandare ordini ai suoi affiliati attraverso fotomontaggi realizzati grazie a un computer e una stampante che aveva a disposizione in carcere”. Il capomafia riuscì a manipolare una foto di gruppo del team (all’epoca) della Ferrari: sovrappose la sua faccia a quella del pilota Michael Schumacher, e incollò i volti dei boss dei Cursoti Giuseppe Garozzo e Ignazio Bonaccorsi (il suo alleato) sopra i visi rispettivamente di Jean Todt e Luca di Montezemolo. Un sistema, secondo gli investigatori, usato da capomafia per far sapere ai suoi “picciotti” quali fossero le alleanze criminali in quel periodo. 

La sorveglianza speciale

Il Tribunale ha disposto oltre alla misura di prevenzione patrimoniale anche una personale. Ha infatti stabilito un ulteriore anno di “sorveglianza speciale con obbligo di dimora nel comune di residenza” a carico del boss Turi Cappello (già applicata nel 1999 e nel 2007). Tre anni di sorveglianza a carico della partner Maria Rosaria Campagna.

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