Antonio, lacrime e solidarietà|"Pensate a chi sta peggio di me" - Live Sicilia

Antonio, lacrime e solidarietà|”Pensate a chi sta peggio di me”

Le storie della pandemia. Non c'è solo il dolore, c'è anche la speranza.
PALERMO E IL CORONAVIRUS
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PALERMO- Chi Antonio? Un nome fittizio e una persona vera. Uno dei tanti che ha conosciuto, anche a Palermo, lo schianto economico del Coronavirus. Uno di quelli che non vivono nel benessere, che navigava già a stento, con le figlie bambine a casa e un rapporto complicato con la spesa. Poi, è accaduto l’irreparabile. Antonio ha perso il lavoro, durante il lockdown, e non ha più letteralmente avuto la disponibilità del cibo da mettere a tavola per la sua famiglia. E’ sopravvissuto, lui come altri, grazie ai generi alimentari approntati dalla Comunità di Sant’Egidio.

“Sì, Antonio è uno dei tanti, dei troppi – racconta Renzo Messina (nella foto), anima storica della Comunità -. Aveva un posto precario che ora non c’è più. Siamo stati noi a contattarlo, perché non ci aveva nemmeno cercato. Piangeva per le sue bambine, ma si vergognava perché è uno che ha sempre lavorato. L’abbiamo aiutato e lo aiutiamo ancora. Ci ha fatto sapere che si è organizzato e che desidera che noi sosteniamo i più poveri al posto suo. Ha detto proprio così: ‘Date il mio pacco spesa ai più poveri, a chi sta peggio di me'”.

Ci sono anche delle pepite d’oro, in mezzo ai sassi aguzzi del Coronavirus. C’è la questione sanitaria, c’è l’emergenza economica, c’è chi, entrando nella strada dell’incertezza, è diventato ancora più cinico, c’è chi se la prende con i ‘poveri che contagiano’, dopo un’estate vissuta da cicala, con pochissime precauzioni, quando ci sono state. Ma c’è anche chi sta scoprendo quanta nobiltà ci sia in giro nei cuori. Perfino dove le condizioni di vita sono più estreme. O, forse, soprattutto.

“Noi abbiamo continuato a girare per distribuire viveri e altre cose necessarie – racconta Renzo -. Non ci siamo mai fermati, ovviamente con la massima prudenza, applicando i protocolli anti-Covid, e abbiamo seguito con scrupolo i corsi di ‘Medici senza frontiere’. Ci diamo appuntamento il lunedì, ma più di due per macchina. Distribuiamo, quando sono disponibili, gel e mascherine e veniamo accolti come salvatori. Tanti, per strada, hanno paura, hanno visto la città svuotarsi e sono stati toccati nel profondo da una maggiore sensazione di solitudine. Si è triplicato il numero delle famiglie che sosteniamo, ogni mese, con due pacchi spesa al giorno. Ora sono cinquecento. Il momento è come è. Io penso quello che ho sempre pensato: ci salviamo tutti soltanto se vediamo il prossimo”.

Sono le storie della pandemia. Un giorno, quando finalmente la tempesta sarà passata, saranno ricordi, foto e parole in un album da riaprire per guardarci. E chissà se ci riconosceremo.


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