Covid, basta con le prediche: servono i soldi - Live Sicilia

Quei mesi estivi buttati via per arrivare a questo fallimento

Non è più tempo di prediche ai cittadini. Si ristori chi chiude e la classe dirigente guardi alle proprie mancanze per fare meglio.
IL COMMENTO
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E dunque alla fine ci siamo arrivati. Non al lockdown, non ancora. Magari lo chiameremo “semilockdown”, visto che il governo non vieta di uscire ma “fortemente consiglia” di non muoversi di casa per nessun motivo se non per andare a lavorare e a scuola. A lavorare per chi il lavoro lo salverà. Perché di nuovo la mannaia si abbatte su intere categorie. Dai teatri e cinema, dove parrebbe dati alla mano che nessuno si contagi, ai ristoratori, a cui dopo aver chiesto spese e sforzi per adeguarsi a rigidi protocolli si abbassano di nuovo le saracinesche.

Sia chiaro, per sgombrare il campo dal ditino alzato del cretinetti di turno: misure drastiche vanno adottate. Perché al momento l’Italia è lanciata a grande velocità verso uno scenario che somiglia a quello di aprile. E i numeri dell’incremento dei ricoveri nella loro ostinazione sono spietati: se non si interviene sulla velocità di propagazione del virus da qui a pochissime settimane – vista la crescita esponenziale dei contagi –  esploderà di nuovo il sistema sanitario. Il governo deve giustamente evitarlo.

E allora l’amaro calice si deve bere. Ma almeno risparmiateci i sensi di colpa nel trangugiarlo. Perché sì, la movida, sì i vacanzieri di ritorno da Malta e Croazia, sì questi adolescenti pomicioni così inspiegabilmente assetati di socialità e non di morte e romitaggio. Ma voi, cosa avete fatto voi in vista di questo prevedibilissimo scenario?

Sì, diciamolo senza giri di parole. Quanto sta accadendo adesso era ampiamente previsto sei mesi fa. E quanto è stato fatto in questi sei mesi da chi ha responsabilità di governo per prepararsi all’evenienza appare purtroppo inadeguato. Meglio sarebbe parlare piuttosto di quanto non è stato fatto.

Abbiamo avuto del tempo. Poco, sia chiaro. Per affrontare un’emergenza immane, sia altrettanto chiaro. Facile non era, nessuno si sogna di pensarlo. Era difficilissimo. E però.

E però quei mesi estivi con pochi contagi e pochissimi morti potevano essere impiegati meglio? Si poteva insistere nell’effettuare molti tamponi per tracciare i casi nuovi e stroncare sul nascere i focolai come predicano dal primissimo giorno gli esperti? Si poteva, sì, ma non si è fatto. Abbiamo passato un’estate con pochi, pochissimi tamponi. Poi ci siamo messi a correre, ma era tardi. Le vacche erano già scappate, i numeri erano già talmente grandi da rendere ciclopica l’impresa del tracciamento e le Asp sono andate in tilt.

Intanto, l’estate è passata. E mentre, ad esempio, si cercavano soluzioni per una macchina complicatissima come la scuola, tra tanti errori ma anche tra molti encomiabili sforzi ripagati spesso da risolini di sufficienza, nulla si faceva per attrezzare il trasporto pubblico locale in vista della ripresa. Nulla. Ce ne siamo accorti a ottobre che autobus e treni per pendolari e studenti si riempivano troppo. Non ci si poteva pensare prima?

E ancora, a proposito di contenimento. La meravigliosa favola della medicina del territorio, che da venti o trent’anni si racconta in Italia nei convegni come quelle fiabe che addormentano i bambini, sempre uguali e sempre irreali,  come è stata potenziata per aiutare a contenere sul nascere i nuovi focolai? Domanda retorica, in un Paese che non è stato in grado nemmeno di attrezzarsi con un congruo numero di vaccini anti-influenzali per evitare la prevedibilissima circostanza che migliaia di persone terrorizzate da un po’ di febbre o dai sintomi della normale influenza stagionale si riversassero a intasare ulteriormente i pronto soccorso.

No, diciamo che il tempo non è stato sfruttato al meglio. In compenso si riaprivano con una certa frettolosa leggerezza le discoteche, si toglievano i limiti di distanziamento sui mezzi di trasporto, non si blindava a prova di bomba la sicurezza nelle strutture sanitarie dove ora di nuovo malgrado tutto rispuntano focolai. Tanto, nel frattempo, un babau contro cui far belare le pecore lo si trova sempre, siano i runner o gli immigrati poco importa.

Di comportamenti irresponsabili ne abbiamo visti in abbondanza, certo. Ma che questi assolvano chi aveva la responsabilità di prevederli, governarli e sterilizzarli, semplicemente non è vero.

E allora, adesso si chiuda, va bene. Ma si ristori. E in tempi brevissimi. E con procedure semplici. Senza chiacchiere, cari governanti. Senza i pasticci della cassa integrazione in primavera, qui ce li ricordiamo bene. E senza i tempi comodi per attuare le misure che abbiamo visto in Sicilia, senza tragicomici click day abortiti. Con denari veri, altro che prestiti garantiti. E senza buttare soldi alla cieca, anche nelle tasche di quanti vivono di quegli stipendi pubblici che, per carità, guai a chi li tocca: i soldi che ci sono però vanno usati per salvare i posti di lavoro delle imprese prima che di quest’Italia e di questa Sicilia non restino che macerie e redditi di cittadinanza a spese non si sa più di chi.

Si chiuda, va bene, anche più drasticamente di così se sarà il caso. Per il momento accetteremo di sederci in quattro al tavolino sperando che fosse il quinto il disgraziato a essersi preso il virus, domani si vedrà col prossimo Dpcm. Faremo la nostra parte, anche con più impegno di prima, che non guasta. E se non basterà ci arrenderemo a un altro lockdown, che altro possiamo fare?

Ma nel frattempo, una richiesta, caro premier, caro governo, care istituzioni a tutti i livelli (e di tutti i colori politici, tutti, che chi sta all’opposizione a Roma governava la Lombardia nei giorni dell’apocalisse, ce lo ricordiamo bene), tutti i livelli ripetiamo, ché ognuno ha seppur in misura diversa una parte di errori e ritardi sulla coscienza in questo fallimento di sistema, che, magra consolazione, è un fallimento che tanti altri Paesi stanno sperimentando. Una richiesta, si diceva: non  venite più a farci la morale sul senso di responsabilità del cittadini. Guardate alle vostre, prima, di responsabilità, e scegliete con più accortezza, da qui in avanti, le parole. Soprattutto quelle da non dire.

Il tempo dei predicozzi è finito, ora servono solo le azioni. Perché a stuzzicare troppo i nervi scoperti della gente, alla lunga un cretino o un farabutto che incanala la rabbia in qualcos’altro lo si trova sempre. E Dio ce ne scampi.


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