"Non muoiono solo i fragili e la Sicilia si smarchi da Roma" - Live Sicilia

“Non muoiono solo i fragili e la Sicilia si smarchi da Roma”

Intervista a Cristoforo Pomara, professore ordinario di medicina legale a Catania e componente del Comitato tecnico scientifico regionale

PALERMO – Se dipendesse solo da Cristoforo Pomara, professore ordinario di medicina legale al Policlinico di Catania e componente del Comitato tecnico scientifico regionale, la Sicilia si smarcherebbe in fretta dai Dpcm romani. Nell’Isola si applicherebbero protocolli autonomi per combattere il Covid perché “è giunto il momento delle scelte coraggiose. Il virus è veramente pericoloso”.

Dopo mesi di pandemia, lei che è un medico legale e si è sempre battuto per la necessità di eseguire le autopsie anche e soprattutto quando erano vietate, cosa sappiamo oggi del Covid?
“Sappiamo che da un punto di vista terapeutico possiamo aggredirlo nella fase precoce con terapia cortisonica, eparina e antivirale. Non sono un clinico ma certamente da risk manager posso dirle che il tracciamento e la terapia precoce sono armi importanti. Sappiamo pure che l’utilizzo della mascherina, il distanziamento e l’igiene delle mani sono fondamentali, ma si tratta di un tema da educazione civica. Se non entrano nel nostro Dna non ci sono Dpcm che tengano”.

Mi pare di capire che secondo lei, difettiamo di senso civico ed educazione?
“Non lo noto mica io da medico, lo possiamo notare tutti. Basta guardare le strade piene a Palermo, Catania, Milano o Napoli. Oggi paghiamo le conseguenze anche di certi comportamenti”.

Alcuni però controbattono dicendo che i dati sulla mortalità restano bassi e sotto controllo e che ci sono ancora posti letto in terapia intensiva.
“Io li definisco ‘ottimisti gioviali’. I dati parlano di una mortalità tra i positivi dello 0,5 per cento, ma sono dati che vanno calcolati su larga scala. Su mille positivi è una cosa, su ventimila al giorno è un’altra, di fronte a un milione di contagi lo 0,5 significa un’ecatombe. Sfatiamo questo mito anche perché non dobbiamo mai, dico mai, dimenticare che i posti letto servono anche in caso di altre patologie”.

E la Sicilia come è messa?
“In Sicilia ci siamo mossi in anticipo di due settimane rispetto a quanto dovrebbe essere deciso dal governo nazionale. Penso alla didattica a distanza nelle scuole superiori oppure allo screening di massa che si sta facendo a Palermo e agli autobus a capienza al 50%. Tutti vogliamo evitare il lockdown speriamo che ciò che si sta facendo ne eviti l’applicazione. Gli effetti delle misure si vedranno fra 15, 18 o 21 giorni”.

Non ci si poteva pensare prima? Da maggio a oggi sono trascorsi sei mesi.
“Ricordo ancora le critiche alla nostra proposta, come Cts, di prevedere il passaporto per gli spostamenti fra regioni o Stati e ora se ne parla a livello nazionale e internazionale. Il nostro paese difetta nella programmazione. Non si poteva prevedere quale fosse lo scenario futuro, ripresa o scomparsa del virus, ma ad entrambi i casi si doveva dare lo stesso valore. Se si è deciso di aprire allora bisognava farlo in sicurezza. Oggi si parla a livello nazionale e internazionale di chiusura a macchia di leopardo che è la nostra posizione da sempre. Eppure ci veniva contestato che la Costituzione difende la libertà del singolo, dimenticando che esiste però il bene della collettività. Muoversi con un certificato sanitario non era un dramma”.

Però la Sicilia in tema di sanità ha ampi margini di autonomia. Abbiamo fatto tutto ciò che era necessario?
“Nel guazzabuglio generale la Sicilia è stata comunque lodevole. Ora il tema è un altro”.

Quale?
“Non è più il momento di aspettare cosa ci dicono il Comitato tecnico scientifico e il governo nazionali. Ora è il momento di fare delle scelte coraggiose. Nessuno può smentire che siamo 21 giorni in anticipo rispetto all’Italia, ma non ci possiamo adagiare sugli allori, servono scelte coraggiose e di alto profilo, siano loro a venirci dietro”.

Ad esempio, che cosa potrebbe fare la Sicilia per farsi seguire dal governo nazionale?
“Affrontare una volta e per tutte il tema della medicina territoriale e generale. Riorganizzare una rete ospedaliera non volta all’emergenza ma all’apertura in sicurezza. Scrollarci di dosso il deficit nazionale di regole chiare e precise, stilare e attuare un nostro disciplinare regionale per la ristorazione, i servizi alla persona, le attività commerciali. Stabilire dei protocolli di cura condivisi dai nostri bravissimi medici. Servono linee di indirizzo a livello territoriale. E poi fare pressioni sul governo per la programmazione di accesso alle facoltà di medicina, non più a numero chiuso, ma a numero programmato. Deve emergere l’amore per la professione perché oggi il nemico si chiama Covid e domani chissà come si chiamerà. Vogliamo programmare una buona volta il futuro?”.

Un progetto ambizioso, ma la pandemia è adesso.
“Infatti le dico che molte cose si devono e si possono fare subito molte altre le ho scritte in miei lavori più di dieci anni fa. Prendiamo un commerciante. Si organizza per lavorare e poi cambia tutto. Si scrive che possono stare seduti al tavolo un massimo di quattro persone. Ma che senso ha? È controsenso scientifico che non si può accettare soltanto perché lo dicono da Roma. Se le persone non sono distanziate, e non dipende solo dal numero di persone sedute ai tavoli, a rischio c’è la salute del ristoratore e dei clienti. Facciamo delle linee guida serie e definitive. Altro esempio, la scuola. A settembre, prima dell’inizio delle lezioni, il governo nazionale doveva fare uno screening di massa così avremmo rintracciato i positivi e avremmo attuato il contenimento”.

Poteva farlo la Regione, però, senza aspettare le indicazioni romane.
“Quando la Regione ha avuto la disponibilità dei tamponi è partita subito. Prima con gli operatori sanitari e ora con le scuole. Passi pure, anche se non è così, che in Sicilia siamo partiti in ritardo, ma al contempo dobbiamo dire che siamo stati i primi partire in Italia. E lo abbiamo fatto scontando un gap decennale. Diciamocelo francamente, la nostra rete ospedaliera è quella che è. Abbiamo anticipato anche i lockdowm circoscritti, lo abbiamo sempre detto: sacrifici di pochi nell’interesse di tanti”.

Mi consenta una riflessione da profano: il valore di riferimento è l’indice di contagio. Se supera una certa soglia, così dice il governo nazionale, si va verso il lockdown. Mi pare evidente che più tamponi si fanno e più aumenta il numero dei positivi asintomatici. Così la Sicilia va in lockdown e altre regioni, che magari fanno meno tamponi, no. Un ragionamento troppo semplicistico?
“Per nulla. Ma le chiusure non dipenderanno, o meglio non dovrebbero dipendere solo dall’indice Rt ma dal numero dei posti letto e dei pazienti ricoverati. Va fatta una media ponderata. Io mi auguro che il fatto di avere avviato la didattica a distanza e gli screening prima degli altri possano incidere in positivo sulla curva. Certo se il 100 per cento dei siciliani usasse mascherina e applicasse le regole del distanziamento la curva si abbasserebbe sensibilmente”.

In tanti, anche e soprattutto nei posti decisionali, ripetono che la nostra rete ospedaliera regge. Lei che ne pensa?
“Secondo me, dirlo è un errore, ad oggi non abbiamo lo scenario drastico che si è visto al Nord, ma dobbiamo essere scrupolosi e prevedere il futuro. Il tema è che regga oggi e domani ed è quello che mi pare si stia facendo da mesi fortunatamente. Dobbiamo prevedere e prevenire anche gli scenari peggiori perché altrimenti non ci faremo trovare pronti”.

Siamo in grado di farci trovare pronti?
“Se non lo siamo ci dobbiamo attrezzare per esserlo. Per questo faccio un appello ai medici di medicina generale, spina dorsale del sistema sanitario. Lavoriamo tutti insieme, fuori dai legittimi accordi sindacali. Date la vostra adesione volontaria per eseguire le cure a domicilio. La Regione metta a disposizione le proprie risorse e si faccia un protocollo unico di integrazione con il lavoro delle Usca”.

Vorrei tornare al capitolo iniziale. Lei sta coordinando un progetto internazionale di studio che si basa sugli esiti della autopsie. Chi sono i morti per Covid. Sono solo anziani con patologie pregresse?
“Le statistiche non mi appassionano. Una sola vita vale tutti i nostri sforzi. Le dico una cosa però: abbiamo dei casi di decessi improvvisi di soggetti cinquantenni o sessantenni per le conseguenze del virus. E si registrano anche decessi di anziani senza alcuna patologia pregressa. Per questo stiamo studiando per capire cosa succede perché non è vero che il Covid uccide solo gente anziana e già malata”.


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