"Ci sono io", pagine che tagliano il cuore - Live Sicilia

“Ci sono io”, pagine che tagliano il cuore

Il libro di Alessandro Savona è dedicato a tutti i bambini la cui infanzia è stata tradita dagli adulti.
INCHIOSTRO DI SICILIA
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3 min di lettura

Ci sono pagine – poche volte accade – che tagliano il cuore e ci lasciano il compito di ricomporlo con il rispetto che si deve alla guerra in cui apprendiamo la sconfitta, anche sapiente, del vivere.

La copertina con lo spessore di una sola immagine di bambino esclude quasi il titolo “Ci sono io” e, ancor di più, il nome dello scrittore Alessandro Savona.

Il libro è dedicato a tutti i bambini la cui infanzia è stata tradita dagli adulti ma, dopo aver appreso l’ultima pagina di questa storia, non si può nutrire il dubbio che non si tratta soltanto di una lacerante, dolcissima esperienza di genitorialità adottiva, ma si può assumere la certezza che quel bambino siamo noi stessi, con i nostri tradimenti tutti.

La narrazione ha un portamento virile di grande tempra letteraria che, dapprima, affonda nel marmo della carnalità. Inganna e rapisce nel senso del riconoscimento dell’altro: un corpo estraneo e indifeso che urge d’inchiostro con la sua strategica vitalità.

Pitar, l’immaginario nome del fanciullo, in sancrito significa padre e su questa infinita catena del figlio che assume il nome del padre si svolge una storia d’amore che, come tanta scrittura vuol edulcorare, è anche avventura di difficilissimo percorrere.

Alessandro muove continuamente specchi come paraventi, come lame, come quadri, come incommensurabili felicità infelici.

Vuole che l’adulto consegni la propria storia al bambino che l’apprende solo attraverso i moduli di una fantasia spontanea e disagiata. E, pertanto, folgorante, incantevole e durissima.

Si sporge qua e là il lupo della realtà con i suoi denti affilatissimi da cui l’uomo maturo, nel difendere se stesso, ripara anche il più giovane.

Non c’è istinto o ragione che vengano tralasciati. Nessuna pietà ma senso di sublime riparo, nessuna illusione ma decisa voglia di sorridere, nessuna speranza ma coraggioso disincanto.

Scrivere è cercare una casa ai propri fantasmi , scrive Alessandro, ma è anche scovare quelli degli altri, renderli sconvenienti o morbosamente avvenenti. Ma mai ammansirli, mutarli in commestibile diletto.

E questo accade solo quando amore colpisce bene alla viscere e ci fa rinunciare all’inevitabile egoismo che è nella pelle di Oreste, di Telemaco e di Amleto.

Alessandro Savona ci racconta di questa metamorfosi con la nudità implacabile che essa richiede.

I personaggi non hanno che una carta nautica sbiadita, già usata da altri naviganti per intraprendere il viaggio: un percorso di memoria privo di ogni indulgenza e di ogni carità, un presentire il futuro, assente di bussola o di riferimenti quotidiani e volgari.

Nella narrazione il sogno non deraglia mai. Diventa, piuttosto, invenzione e breve rinascita sul viso di un bambino nato solo come regno per i pidocchi.

Lo spessore dell’adulto passa attraverso la gogna dei suoi bisogni, di mille incapacità, rendendolo vivo nella metafora struggente del bene in cui la fantasia assurge a patria comune.

C’è nella parola una ribelle e maschia volontà del diritto all’infanzia, non soltanto nella carne bambina, ma tutte le volte in cui l’uomo si mostra pronto a rifondare la propria nudità in cui la vita trova una consegna intera d’amore.

In fondo, Alessandro ci insegna il dono della vulnerabilità nella sua lingua incapace ed elettiva. Ci scuote dal sonno adulto della passività, dal languore degli affetti naturali, dalla dignità a basso costo, dalla comoda vergogna del consenso.

Pitar è ciò che siamo stati: l’immensa tragedia dell’innocenza che deve prendere congedo da tutto ciò che magico non è.

La vita non è un’amica, né un orizzonte. Resterà un mistero su cui tracciamo resoconti.

Siamo cartografi immobili. Tuttavia, in noi il desiderio illusorio del viaggio si accende tutte le volte in cui intravediamo segni di cammino impossibili perché solo il bambino celato è in grado di compiere prodigi. Quel fanciullo reietto, bistrattato, forse legato al letto della povertà, che storpia le parole per privilegiarne il senso

Rimaniamo grati alla scrittura di Alessandro, al suo cosciente e doloroso monito di non ucciderlo. Ipotesi probabile per chi va dritto incontro all’amore.

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