Nino Cartabellotta: "Il virus è in vantaggio, ora serve una svolta"

Nino Cartabellotta: “Il virus è in vantaggio, ora serve una svolta”

Nino Cartabellotta è un siciliano di mare aperto. Con la sua fondazione offre uno spaccato reale del diffondersi della pandemia.
INTERVISTA AL PRESIDENTE DI GIMBE
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PALERMO- Nino Cartabellotta, medico, siciliano di mare aperto, è un uomo che indossa i panni scomodi e onesti di chi racconta la realtà, guardandola attraverso le cose, con gli occhi di chi maneggia numeri e fatti: gli uni e gli altri hanno il difetto di essere, da sempre, assai testardi. Con la fondazione ‘Gimbe’ , di cui è papà e presidente, offre una informazione dettagliata e puntuale, lontana dal gioco delle fazioni e delle appartenenze che non manca mai, nemmeno nei giorni di una terribile pandemia. Qui, in una chiacchierata con LiveSicilia.it, spiega a che punto è la notte, rispondendo a qualche domanda.

Presidente, siamo nel pieno della seconda ondata da Coronavirus. Quali sono gli strumenti necessari per abbassare la curva? Basta la progressiva e diversa colorazione delle Regioni o si renderà inevitabile un lockdown nazionale, peraltro già ventilato? Perché stiamo inseguendo e non riusciamo più ad anticipare la pandemia?
“In questa fase di drammatica crescita dei contagi, rapida saturazione degli ospedali e impennata dei decessi il sistema di monitoraggio che informa le decisioni politiche secondo il DPCM del 3 novembre 2020 non è uno strumento decisionale adeguato. È tecnicamente complesso, soggetto a numerosi “passaggi” istituzionali, risente di varie stratificazioni normative, attribuisce un ruolo preponderante all’indice Rt che presenta numerosi limiti e, soprattutto, fotografa un quadro relativo a 2-3 settimane prima. Ovvero, usando lo specchietto retrovisore, invece del “binocolo, si rallenta la tempestività e l’entità delle misure per contenere la curva epidemica. Senza un immediato cambio di rotta sui criteri di valutazione e sulle corrispondenti restrizioni, solo un lockdown totale potrà evitare il collasso definitivo degli ospedali e l’eccesso di mortalità, anche nei pazienti non COVID-19”.

A che punto è, numeri alla mano, la situazione in Sicilia? Si è molto dicusso, qui, sulla ‘zona arancione’. La Regione ha rivendicato la sostenibilità del suo sistema sanitario, mentre i giornali raccontano, come accade ovunque, gli ospedali in affanno...
“In tutte le Regioni c’è uno scollamento tra dati ospedalieri che informano le chiusure secondo il DPCM 3 novembre 2020, dati riportati nel bollettino giornaliero e quello che medici e infermieri vedono in tempi reale. Se i dati che arrivano dal fronte sono i più tempestivi, quelli utilizzati per “assegnare i colori” sono invece meno recenti. Ovvero non esiste una verità, ma solo una differente tempestività nel rilevare e rendicontare il fenomeno”.

Cosa avrebbe dovuto fare la politica? Quello che accade era prevedibile, ma in estate è filtrato un messaggio di rilassatezza che è risultato dannoso. Quali sono, se ci sono, in termini generali e specifici, le responsabilità della politica, distinguendo tra Governo, Regioni ed Enti locali?
“Il vero problema è la mancanza di strategia. Lo stillicidio di DPCM a cadenza settimanale dimostra che la politica continua ad inseguire i numeri del giorno, ignorando il fatto, o rifiutando l’idea, che il virus ha sempre due settimane di vantaggio. Non essere riusciti a prevenire la risalita della curva epidemica quando avevamo un grande vantaggio sul virus impone oggi di lasciare spazio solo a misure di contenimento più rigorose. Ma queste misure devono essere pianificate su modelli predittivi ad almeno due settimane, altrimenti la “non strategia” di inseguire i numeri del giorno spingerà il Paese verso il lockdown generalizzato. Infine, in una fase in cui la curva epidemica non era ancora sfuggita di mano, sono venute a mancare quelle chiusure localizzate che tutti i sindaci potevano disporre in aree, soprattutto metropolitane, dove il contagio cresceva più velocemente. Ma la collaborazione tra Regioni ed Enti locali non è sempre leale, esattamente come quella tra Governo e Regioni”.

Cosa dicono davvero i dati?
“Oggi i dati confermano che siamo in una fase di crescita della circolazione del virus in tutto il Paese. Tutte le curve continuano a salire in maniera molto rapida, peggiorando la capacità di risposta dei servizi sanitari. Infatti, nella settimana 8-14 novembre, rispetto alla precedente, si sono registrati 42.062 nuovi casi: (+26,8%) e 3.620 decessi (+48,1%). I casi attualmente positivi sono cresciuti di 155.899 (+29,3%), i ricoveri con sintomi di +6.289 (+25%) e le terapie intensive di 672 (+25,5%). Negli ultimi giorni alcuni termini quali “rallentamento”, “raffreddamento”, “frenata” hanno generato un ingiustificabile ottimismo per la variabile interpretazione individuale del significato di questi termini che indicano solo una ridotta velocità con cui sale la curva dei contagi. Ovvero, si osserva una riduzione dell’incremento percentuale dei nuovi casi giornalieri: dal 5% del 30 ottobre al 3,4% del 14 novembre, verosimilmente dovuta sia all’effetto delle misure introdotte, sia alla ridotta capacità testing, visto che il rapporto tra positivi e tamponi rimane stabile”.

Perché non è stato possibile evitare che il Sud fosse colpito in pieno dal contagio? Come si poteva scongiurare una situazione del genere?
“Il Centro-Sud è stato risparmiato dalla prima ondata grazie al lockdown e solo una frazione esigua della popolazione aveva contratto l’infezione. Ovviamente con la riapertura della mobilità interregionale del 3 giugno era inevitabile l’arrivo del virus. In altre parole: non si poteva evitare, ma un sistema di testing & tracing più efficace e tempestivo avrebbe sicuramente rallentato il sovraccarico degli ospedalieri”.

Siamo alle prese con uno strano fenomeno chiamato ‘negazionismo’. Perché avviene? Perché sui social ci sono persone e addirittura gruppi che si scagliano contro chi semplicemente prende atto della realtà?
“Per loro il coronavirus è come il mare d’inverno, ovvero “un concetto che il pensiero non considera”, apparentemente determinato da una variabile combinazione di fattori: ignoranza, spirito di insubordinazione, precisi orientamenti e ideologie politiche, sfrenato egoismo. Ma alcuni studiosi sostengono che i negazionisti siano in buona fede: secondo il neuroscienziato Earl Miller il loro atteggiamento dipende dall’incapacità cognitiva di distinguere tra informazioni fondate e infondate, come accade in alcune forme di demenza”.

Quanto hanno pesato sullo scenario attuale certe dichiarazioni ‘riduzioniste’, anche di uomini di scienza, che davano il virus ormai avviato sulla via del declino?
“Il terreno che delimita la scienza dalla comunicazione pubblica è molto scivoloso. Un opinion leader deve sempre considerare chi lo ascolta, perché è bastata una parola di troppo, quando tutti volevano riappropriarsi delle proprie libertà, per incoraggiare il “liberi tutti””.

Premesso che la leggerezza spesso è stata appannaggio degli adulti, cosa direbbe ai giovani per convincerli a essere prudenti?
“Una raccomandazione, un consiglio e un incoraggiamento. Seguite tutte le misure raccomandate perché essere vettori inconsapevoli del virus mette a rischio la salute, o addirittura la vita, dei propri cari. Impegnatevi attivamente per essere protagonisti di un fenomeno epocale, ciascuno con le proprie attitudini, conoscenze e competenze. Siate certi che, anche grazie ai vostri sacrifici, tutto finirà”.


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