Mario Li Castri non doveva essere arrestato. Lo ha stabilito il Riesame

Mazzette al Comune, il Riesame: “Li Castri non andava arrestato”

Lo ha deciso il Tribunale del Riesame annullando l'ordinanza di custodia cautelare

PALERMO – Mario Li Castri non doveva essere arrestato. Lo ha stabilito il Tribunale del Riesame chiamato a pronunciarsi dopo che la Cassazione aveva annulla con rinvio la decisione di un altro Tribunale di confermare gli arresti domiciliari per il funzionario comunale.

Li Castri è indagato per corruzione nell’inchiesta sul presunto giro di mazzette che sarebbero state pagate per ottenere il via libera a tre lottizzazioni, poi non approvate in Consiglio comunale. L’indagato ha trascorso otto mesi agli arresti domiciliari e da un mese aveva l’obbligo di dimora.

L’avvocato Marcello Montalbano

Il collegio presieduto da Antonia Pappalardo ha accolto il ricorso dell’avvocato Marcello Montalbano e ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare.

La Cassazione annullando il precedente provvedimento aveva rilevato una carenza nella motivazione sui gravi indizi di colpevolezza scrivendo che “l‘esistenza del patto corruttivo risulta apoditticamente desunto“.

Nel blitz di carabinieri e finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria furono coinvolte sette persone (leggi l’articolo sul blitz). L’inchiesta riguarda un giro di mazzette che sarebbero state pagate per ottenere il via libera a tre lottizzazioni.

Si tratta delle aree industriali dismesse dell’ex Keller di via Maltese, alcuni capannoni in via Messina Marine e dell’ex fabbrica di agrumi a San Lorenzo. Progetti alla fine bloccati in Consiglio comunale (leggi l’articolo sull’Edilizia privata).

Il legale di Li Castri ha sempre sostenuto che non sia stato compiuto alcun atto contrario ai doveri di ufficio che giustificasse la contestazione di corruzione.

Al contrario l’indagato avrebbe sempre agito rispettando leggi e regolamenti. Così come hanno contestato l’utilità che avrebbe ottenuto in cambio del via libera ai piani di lottizzazione e cioè la nomina dell’architetto Fabio Seminario, socio in affari di Li Castri in uno studio privato.

Secondo la difesa, i due non erano più soci e in ogni caso la nomina di Seminerio fu decisa prima ancora che Li Castri diventasse funzionario.


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