Quei messaggi della mafia: così il boss comunica dal carcere - Live Sicilia

Quei messaggi della mafia: così il boss comunica dal carcere

Orazio Scuto, del clan Laudani, riesce a far passare le lettere attraverso scatole di cioccolato.
OPERAZIONE REPORT
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CATANIA – Il blitz Viceré e la morte del patriarca Iano Laudani hanno messo a dura prova gli assetti gerarchici dei “Mussi i Ficurinia”. L’inchiesta Report, scattata ieri mattina, documenta una crisi interna tra vecchie e nuove guardie per la “tenuta” del potere criminale. In questo caos di leadership si fa avanti un nome storico del gruppo mafioso dei Laudani di Aci Catena, Orazio Scuto ‘u vitraru’, che nonostante la detenzione in carcere sarebbe riuscito a “bypassare” le direttive ai suoi fidati collaboratori all’esterno. E cioè Litterio (Rino) Messina e Calogero (Lucio) Brancato. Quest’ultimo indagato insieme al deputato regionale di Italia Viva, Luca Sammartino per corruzione elettorale. 

Sono ancora una volta i colloqui in carcere ‘la porta di accesso’ dei detenuti verso l’esterno. È l’11 maggio 2018 quando Scuto discute con la figlia Valentina e ad un certo punto la invita “ad attirare l’attenzione – annota la gip Maria Ivana Cardillo – una busta bianca contenente vari generi alimentari ed, in particolare, su una scatola di barrette di cioccolato Kinder”. 

Durante un controllo di polizia giudiziaria sulla macchina della figlia, gli investigatori trovano la scatola con alcuni fogli manoscritti e decidono di fotografarli. Una volta completato l’accertamento, rimettono a posto la busca nel pacco di dolciumi e restituiscono tutto alla donna. Non mancano i commenti a quanto accaduto: l’altra figlia del boss si rammarica: “Dovevo andarci io…”. Mentre il compagno di Valentina, dopo aver letto la missiva, proponeva una strategia per le ‘prossime’ consegne. “Invece facciamo una cosa, appena esce questa cosa me la dai a me ed io me lo metto nei miei documenti dentro il portafogli” o meglio “Non devo dare conto a nessuno sono carte mie, scrivo poesie … sto scrivendo un romanzo giallo… e allora? Chiaro e li tengo li io che non c’entro niente.  Oppure – ipotizza – appena usciamo ci fermiamo al primo bar gli facciamo le fotografie con il telefonino e li strappiamo… è lo stessa cosa…” 

Altro che semplici pizzini, l’epistole di Scuto dirette a “Pippo e Rino” e una invece solo per “Rino” (Messina, ndr) si compongono di 13 facciate. Gli inquirenti ritengono che Pippo Malato, così è chiamato dall’indagato nel suo scritto, sarebbe Giuseppe Viola  già coinvolto nell’inchiesta Vicerè. Dalla lettura delle missive c’è l’input per le indagini relative alle interferenze nelle aste giudiziarie. Scuto ricorda ai suoi sodali l’imminente asta riguardanti il vecchio bar Portobello di Viagrande. L’intenzione del boss sarebbe stato quello di acquistare il compendio aziendale attraverso un prestanome, che sarebbe stato individuato in Piero, figlio i Melo Squadrito (per gli investigatori Carmelo Bonaccorso). 

Nella lettera per Rino invece Scuto fa riferimento alla scoperto sistemi di sorveglianza che sarebbero stati installati vicino la pizzeria L’Annunziata di Lucio Brancato (lo stesso locale citato nel capo di imputazione a carico del deputato Sammartino, ndr) Per il boss dei Laudani “ZAMPA” , alias l’ex socio Antonio Zammataro i cui beni sono stati acquisiti dall’azienda Friscus Srl (ieri sequestrata nell’ambito dell’inchiesta delle fiamme gialle) sarebbe diventato una sorta di “confidente” di polizia  (“Grande Fratello” ).  Ma per Orazio ‘il vetraio” microspie e cimici non sarebbero stati frutto delle rivelazioni di Zammataro ma di “Farina”, che per gli investigatori altro non è che Orazio Farina, soldato dei Laudani di Paterno, diventato collaboratore di giustizia. Ma Scuto sembra minimizzare gli effetti dei ‘pentimenti’: “i due avrebbero fatto la figura degli sbirrazzi”, annota il gip. Ed infatti non sono nemmeno i collaboratori di giustizia a mettere nei guai Orazio Scuto, ma la sua stessa mano “da scriba”. 

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