Sicilia, la 'guerra' dei vaccini, tra buone ragioni e pessime idee

Sicilia, la ‘guerra’ dei vaccini, tra buone ragioni e pessime idee

E' scoppiata la guerra dei vaccini in Sicilia. Sotto a chi tocca. Ma a chi tocca?
LA POLEMICA
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La ‘guerra’ dei vaccini, intesa come il conflitto sempre meno latente e sempre più manifesto tra chi rivendica per sé la priorità dello scudo contro il Covid, contiene buone ragioni e pessime idee. C’è una miscela tra diritti ed egoismi, tra l’esigenza di tutela e la voglia, comprensibilmente disperata, di saltare sulla prima scialuppa disponibile nel corso di un naufragio pandemico.

Sono, per esempio, sacrosante le rivendicazioni dei più fragili che chiedono protezione, tuttavia non va dimenticato che per le persone a rischio a causa della salute sono indicati i vaccini Pfizer e Moderna, mentre AstraZeneca per tutti gli altri. Poi si entra nel dedalo delle categorie essenziali. Chi può stabilire, per indicare una strada preferenziale, oggi, cosa sia essenziale e cosa no, con assoluta precisione? Lo sono gli insegnanti, le forze dell’ordine, i giudici, gli avvocati. E chi lavora alla cassa in un supermercato? Se i cassieri decidessero di abbandonare il loro posto e i supermercati chiudessero, diventerebbe prioritario riaprirli con una campagna a tappeto. Le valutazioni si arroventano sui social. Nello specifico, in particolare nei confronti degli avvocati, i dubbi di alcuni hanno rasentato l’invettiva, come se si trattasse di una categoria di privilegiati, non di professionisti necessari nel meccanismo delicato della giustizia, apparentemente caro a tutti. Identici commenti sono stati rivolti ai professori, in qualche caso. Sbarriamo la porta dei tribunali e delle scuole, in senso letterale e figurato? E chi potrebbe escludere i chimici e i fisici? E (scusate) i giornalisti?

E perché la levata di scudi contro i dipendenti dell’Ars, la cui vaccinazione è stata proposta dal presidente Miccichè? Non sono anche loro meritevoli di tutela? Non hanno famiglie, esistenze e affetti da salvare? Non hanno paura come il resto? Si può appunto discutere – e dissentire legittimamente rispetto alla proposta – senza inventare anatemi o pareri sprezzanti. Ma questo non è un buon momento per le discussioni. Siamo alla guerra dei vaccini, appunto, nell’istante in cui la maggioranza delle persone, scosse dal Covid, cerca una via d’uscita, proprio una scialuppa, un gancio a cui aggrapparsi per sollevarsi dall’incubo. Manca l’altruismo che, in altre guerre, faceva da controcanto al terrore. Cosa fare, allora?

Come sempre le risposte sono nei libri. Basta rileggere Shylock, nel suo monologo scespiriano, da cui si evince l’origine della deflagrazione che lo rende spietato: “Non ha forse occhi un ebreo? Non ha mani, organi, membra, sensi, affetti e passioni? Non si nutre egli forse dello stesso cibo di cui si nutre un cristiano? Non viene ferito forse dalle stesse armi? Non è soggetto alle sue stesse malattie? Non è curato e guarito dagli stessi rimedi? E non è infine scaldato e raggelato dallo stesso inverno e dalla stessa estate che un cristiano? Se ci pungete non versiamo sangue, forse? E se ci fate il solletico non ci mettiamo forse a ridere? Se ci avvelenate, non moriamo? E se ci usate torto non cercheremo di rifarci con la vendetta? Se siamo uguali a voi in tutto il resto, dovremo rassomigliarvi anche in questo”. Ecco il grido di un escluso che trasforma il bene in male, perché lo hanno scaraventato fuori dalla barca di una umanità condivisa.

Noi possiamo imparare, invece, a non ‘rassomigliarci’ nel peggio e a condividere quell’umanità. A sapere distinguere i bisogni più urgenti, per accudirli. A mettere da parte la parola ‘Io’ (su cui Gaber ha scritto una memorabile canzone), per concentrarci sulla parola ‘Noi’. La guerra dei vaccini non serve a nessuno. Ci viene richiesto uno sforzo di solidarietà che potrebbe finalmente inverare l’auspicio e consentirci uscire dalla catastrofe migliori di come siamo entrati. E, nel frattempo, possiamo essere ancora più prudenti nelle precauzioni per noi stessi e per gli altri. Anche indossare bene una mascherina è un gesto di lungimirante generosità.


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