Programma criminoso di Saguto per massimizzare i profitti illeciti

“Programma criminoso di Saguto per massimizzare i profitti illeciti”

Appello della Procura di Caltanissetta. L'ex giudice "merita una pena molto più pesante"

PALERMO – Silvana Saguto si è avvalsa di “una organizzazione, tutt’altro che rudimentale, preesistente al loro accordo criminoso (il patto corruttivo contestato in concorso con l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara) e coincidente con quella struttura normativamente disciplinata che consente la gestione dei patrimoni sequestrati”.

Da sinistra i pm Gabriele Paci, Maurizio Bonaccorso e Claudia Pasciuti

Inizia così l’appello della Procura di Caltanissetta che nel nuovo processo cercherà di dimostrare che l’ex presidente della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo meritava la condanna a 15 anni e 4 mesi chiesta in primo grado. Dopo avere ricostruito i motivi di appello della difesa tocca a quelli dell’accusa.

La pena inflitta è stata di 8 anni e mezzo perché davanti al collegio di primo grado sono venuti meno alcuni capi di imputazione. A cominciare dall’ipotesi di associazione a delinquere.

Il Tribunale ha ritenuto che Silvana Saguto fosse il perno di un sistema corruttivo, ma mancherebbe la prova che l’ex giudice, il marito Lorenzo Caramma e l’avvocato Cappellano Seminara avessero creato “gruppo stabile e strutturato”. Da qui l’assoluzione dal reato di associazione a delinquere. Sono stati assolti anche l’amministratore giudiziario Aulo Gigante (alla fine del processo di primo grado furono gli stessi pm a sostenere che fosse “vittima di concussione” e non “complice corrotto” di Saguto) e il giudice Lorenzo Chiaramonte.

Chiaramonte faceva parte del collegio delle misure di prevenzione presieduto da Saguto, nel suo caso la Procura di Caltanissetta non ha fatto appello e così esce definitivamente dal processo con un’assoluzione piena.

“Massimizzazione dei profitti illeciti”

Di avviso opposto il pubblico ministero Claudia Pasciuti che firma, da sola – in primo grado c’era anche Maurizio Bonaccorso – l’appello. Gli imputati avrebbero utilizzato la procedura, che prevede la nomina degli amministratori, di gestione dei beni in sequestro per “renderla funzionale alla realizzazione dei loro scopi illeciti”, per giungere alla “massimizzazione degli illeciti profitti perseguiti”.

Per anni, secondo il pm, “Saguto, Cappellano e Caramma hanno agito pressoché indisturbati muovendosi nei gangli di un procedimento complesso, le cui peculiarità, note quasi esclusivamente ai tecnici del settore, hanno fornito loro la copertura dell’apparente liceità del loro agire”.

Non importa, secondo il pm, che solo Saguto sia stata assolta da una serie di abusi di ufficio e peculati (per altro appellati). Non si può sostenere che, caduti alcuni reati scopo, non si debba contestare l’associazione a delinquere. Lo dimostrerebbe il fatto che Saguto portò avanti “il programma criminoso” anche quando iniziò a montare la polemica sulla gestione della sezione, cercando di “fare lavorare Lorenzo” (il marito Lorenzo Caramma), con Cappellano Seminara lontano da Palermo coinvolgendo l’amico Guglielmo Muntoni, giudice a Roma.

“Un programma criminoso”

Secondo l’accusa, ciò dimostra che “il programma criminoso fosse assolutamente indeterminato, destinato a trascendere e superare il solo accordo corruttivo per ispirare la commissione di tutti quei reati che potessero ritenersi funzionali al fine ultimo dell’illecito arricchimento dei sodali”. E tra questi reati ci sarebbero tutti quei falsi per cui Saguto è stata assolta in primo grado.

“Ventimila euro nel trolley”

La Procura ha fatto appello anche per la storia dei soldi che Cappellano Seminara avrebbe consegnato, una sera di giugno 2015, in contanti dentro una valigia a casa di Saguto. ll Tribunale ha ritenuto che la prova sia stata raggiunta solo per 9.500 euro e non 20.000 come contestava l’accusa, sulla base dei movimenti bancari successivi alla dazione di denaro.

A consegnare i soldi a Cappellano sarebbe stato l’architetto Giuseppe Caronia, che con l’amministratore giudiziario aveva dei rapporti di lavoro. Cappellano gli aveva pagato lavori per 60 mila euro, ma avrebbe chiesto la restituzione di 20 mila euro in contanti. Ai finanzieri che lo convocarono durante le indagini Caronia disse che quando parlava di documenti nelle intercettazioni stava davvero parlando di fogli.

Poi ci ripensò, spiegò di avere detto una bugia perché temeva di incorrere in sanzioni fiscali. Per il fatto di avere modificato le sue dichiarazioni Caronia non è stato più considerato credibile e il Tribunale ha disposto la trasmissione degli atti per valutare ‘ipotesi della falsa testimonianza. Caronia non è il solo. Di avviso opposto la Procura: il nucleo del racconto di Caronia non viene scalfito, le discrasie potrebbero essere legate al cattivo ricordo o “al timore di essere coinvolto in qualche modo nella vicenda di corruzione”.

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