La trappola per uccidere Pistone: le confessioni dei killer - Live Sicilia

La trappola per uccidere Pistone: le confessioni dei killer

Il racconto attraverso verbali di pentiti e ammissioni dal valore storico per Cosa nostra. Il processo Thor. PRIMA PUNTATA
OMICIDIO DEL 1992
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5 min di lettura

CATANIA. Ventitré omicidi. Ventitré storie di mafia. Ventitré crimini, lontani e più recenti, che fanno emergere la brutalità e la viltà di Cosa nostra. Un processo, Thor, che ha riaperto pagine di sangue rimaste senza verità. O con verità parziali. Un processo che diventa storico per le ammissioni di alcuni imputati. Anche se, come ha fatto il pm nella sua lunghissima requisitoria davanti al gup, ogni dichiarazione è stata valutata e pesata. 

L’omicidio di Roberto Pistone

A ogni omicidio dedicheremo un articolo seguendo l’ordine della discussione del pm. Il sostituto procuratore Rocco Liguori ha analizzato omicidio per omicidio elementi investigativi, verbali e riscontri. E dichiarazioni di alcuni imputati.

Partiamo dal delitto di Roberto Pistone, assassinato il 5 agosto 1992 in via Terreforti a San Giorgio, a Catania, con nove colpi alla testa, al collo e al torace. Per questo delitto sono imputati Umberto Di Fazio, Aurelio Quattroluni, Francesco Maccarrone e Francesco Di Grazia. “La vicenda è ricostruita nella sentenza del 27 settembre 2001”, ha ricostruito il pm.  Sentenza, poi confermata in appello, che ha visto la condanna di Natale Di  Raimondo e Filippo Branciforte. Secondo i giudici i due hanno agito “in concorso a Francesco Zammataro” poi ammazzato dal suo “stesso clan”. Le nuove imputazioni sono quindi frutto delle dichiarazioni dei pentiti già inserite nella sentenza e delle nuove rivelazioni di Francesco Squillaci, ‘martiddina’, uomo d’onore di Cosa nostra.

“Doveva essere una strage”

Il killer, reo confesso, dell’ispettore Gianni Lizzio racconta che in realtà “quella mattina si doveva fare una strage, perché non si doveva uccidere soltanto Pistone che era un elemento di spicco dei cursoti milanesi di Jimmy Miano ma altri tre cursoti dovevano essere eliminati sempre per fare un favore al clan Mazzei”. Squillaci si sarebbe incontrato ogni mattina a Monte Po con Natale Di Raimondo, che all’epoca “era anche il responsabile di Cosa nostra catanese e colui che veicolava – ha detto il pm – le decisioni di Aldo Ercolano e Nitto Santapaola”. E avrebbe indicato “gli omicidi da commettere ai due gruppi di fuoco di Piano Tavola (diretti dagli Squillaci) e di San Giorgio (diretti da Filippo Branciforte)”. Il pentito riferisce un fatto inquietante: “Natale Di Raimondo diceva che ogni mattina quando apriva il giornale voleva vedere una persona uccisa per conto del gruppo”. 

Le fasi dell’omicidio

“Una di quelle mattina Natale Di Raimondo aveva detto – riassume Liguori citando il racconto di Squillaci – che bisognava commettere questa strage contro i cursoti” e avrebbero partecipato del gruppo di Martiddina Squillaci e Francesco Maccarrone, del gruppo di Monte Po “Francesco Di Grazia, detto Francu u spasciu, Giovanni Rapisarda, Salvatore Pappalardo, Aurelio Quattroluni e Natale Di Raimondo”, del gruppo di San Giorgio “Umberto Di Fazio, Salvatore Fascetto che andava in giro a cercare le vittime per individuarle e segnalarle ai killers e Filippo Branciforte” che conosceva la vittima e avrebbe dovuto “individuarla e fermarla”. Pistone quella mattina del 1992 era solo e così la strage fu evitata. Di Raimondo avrebbe avvisato il gruppo di fuoco che la vittima designata era ferma a parlare con Branciforte. A quel punto sono partiti a bordo di un Fiorino di colore bianco rubato, Squillaci armato di una pistola calibro 357, Umberto Di Fazio con un fucile Thompson, Francesco Maccarrone con una calibro 38 e Francesco Di Grazia con una pistola 7 e 65, mentre Aurelio Quattroluni guidava il fiorino. 

La trappola mortale

Sarebbe stata attuata la messa in scena, Branciforti aveva invitato Squillaci a scendere per presentargli Pistone. ‘Martiddina è sceso e ha esploso due colpi di pistola in faccia, Maccarrone ha sparato al corpo. E infine anche Di Grazia ha fatto fuoco e per errore ha colpito Branciforte alla spalla. Il pm poi passa in rassegna le dichiarazioni degli altri pentiti Umberto Di Fazio, Natale Di Raimondo e Fortunato Indelicato. Rivelazioni non precise rispetto a quelle di Squillaci “che ricorda anche le armi utilizzate”. Sul ruolo di  Quattroluni convergono le accuse di ‘martiddina’ e Di Fazio che lo indicano “come l’autista del fiorino”. Su Di Grazia invece ci sono tutti i verbali dei collaboratori.

Le confessioni dell’imputato

Su Francesco Maccarrone invece puntano il dito Squillaci e Di Raimondo. Ma per una serie di ‘contraddizioni’ emerse dai racconti degli altri pentiti il pm non ha chiesta la misura cautelare nei confronti di Maccarrone (per questo delitto) che dopo la conferma del Riesame (deve rispondere di altri 7 omicidi) ha chiesto di essere interrogato. 

Il killer ha confessato tutto. Il pm riassume il suo racconto: “Ha sparto due colpi alla vittima con un revolver calibro 38 a canna corta quando la vittima era già in terra perché era stata colpita da altri”. Ha confermato di trovarsi “all’interno del Fiorino” insieme a Di Fazio, Squillaci, Quattroluni, Di Grazia. 

“Si tratta di dichiarazioni – precisa il pm rivolgendosi al gup – provenienti da un soggetto che non è collaboratore di giustizia, che sta ammettendo i fatti, che racconta in maniera particolareggiata l’evento e lo ricostruisce in maniera assolutamente analoga a quella di Francesco Squillaci”. 

“Li ho uccisi tutti e tre”

Sono invece “più generiche” le dichiarazioni di Lello Quattroluni durante l’interrogatorio di garanzia. Il boss di Cosa nostra si è avvalso della facoltà di non rispondere e spontaneamente ha detto “Li ho uccisi tutti e tre io”. Oltre a Roberto Pistone, l’ex vertice della famiglia catanese di Cosa nostra ammette anche gli omicidio di Luigi Abate e Sebastiano Villa. 

Il boss Di Grazia resta in silenzio

È rimasto trincerato nel silenzio, come ogni boss di mafia ci ha abituato, Francesco Di Grazia. “L’unico che non ha ammesso le sue responsabilità”, ha bacchettato il pm Liguori. 


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