Ha rischiato 20 anni di carcere: il boss del pizzo è libero

Ha rischiato 20 anni di carcere: il boss del pizzo è tornato libero

Assolto e scarcerato. "Muschidda" ha trascorso metà della sua vita in cella

PALERMO – È passato dal rischio di dovere trascorre i prossimi vent’anni in carcere alla liberazione. Enrico Scalavino nulla c’entra con il giro di droga della famiglia mafiosa di Corso Calatafimi. Il giudice lo ha assolto nel processo che si è chiuso con pesanti condanne in primo grado.

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I suoi legali si sono battuti per la sua innocenza. Hanno avuto ragione e da oggi Scalavino va ad ingrossare l’elenco degli scarcerati eccellenti. A pesare non è il presente, ma il suo passato mafioso.

Di lui il picciotto e pentito Giuseppe Calcagno, il giorno che si presentò in caserma, disse: “Temo per la mia vita a seguito dei contrasti avuti con Giovanni Marino, cognato di Tommaso Lo Presti, della famiglia mafiosa di Palermo Centro. Alcuni giorni fa sono stato violentemente picchiato da Marino e Bonomolo (salvatore Bonomolo, altro collaboratore di giustizia ndr) a causa di un debito da 10 mila euro nei confronti di Giovanni Marino per una partita di stupefacenti. Per questo motivo mi sono presentato dai carabinieri”.

C’era, dunque, la sete di vendetta di Bonomolo dietro la scelta di Calcagno di “saltare il fosso”. Il 2005 è stato il momento più alto della sua scalata nelle gerarchie di Cosa Nostra. Le cose sarebbero cambiate presto. In particolare quando ad Agostino Badalamenti – uomo forte nel clan di Palermo Centro, di cui Bonomolo, oltre che cugino, era delfino – subentrò Nicola Ingarao, che qualche anno dopo sarebbe stato crivellato di colpi dai killer del clan Lo Piccolo di San Lorenzo. “Avevano aperto una pescheria assieme in una traversa di via Dante – aggiunse Calcagno -. Con Ingarao non correva buon sangue per via di comportamenti che assumeva Bonomolo. Il Bonomolo odiava Enrico Scalavino e mi ha chiesto di spararci”.

Scalavino, detto “Muschidda”, è stato un temutissimo uomo del racket nella zona di Corso Calatafimi. Un giorno si presentò negli uffici di un’impresa e pretese di essere assunto. Gli bastò dire che era mandato dagli “amici, quelli della zona”. Enrico Scalavino divenne così magazziniere. Una forma di pizzo che si aggiungeva ai mille euro da sborsare a Pasqua e a Natale. Fino a quando il titolare decise di farla finita, denunciando tutto ai carabinieri. Stessa cosa fecero altri due commercianti.Per cinque mesi, fra maggio e ottobre 2007, si diede alla latitanza. Gli davano la caccia per i reati di mafia, estorsione e traffico di droga.

Erano le quattro di una notte di ottobre quando i militari del Reparto operativo intercettarono la Renault Clio guidata dal latitante. L’inseguimento durò una manciata di chilometri. Si era nascosto per mesi nella zona di via Leonardo da Vinci. Seguirono anni di carcere per il cinquantenne Scalavino che ha trascorso quasi metà della sua vita in cella. Nel settembre 2017 la scarcerazione per fine pena. Un anno e mezzo dopo il nuovo arresto. Oggi però è stato assolto. Muschidda è un uomo libero.


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