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Sicilia, il voto amministrativo e la lezione per le regionali

I moniti di Fava e Romano.

PALERMO – Il day after del voto amministrativo diventa ghiotta occasione per mettere i puntini sulle i in vista della sfida delle regionali del 2022. Da destra a sinistra non mancano dichiarazioni da leggere inforcando le lenti della contesa per Palazzo d’Orleans. Nel centrosinistra è Claudio Fava a cogliere la palla al balzo affidandosi a una considerazione sui social. “Elezioni amministrative in Sicilia: non è il giudizio di Dio, ma qualcosa su cui ragionare ci arriva, no? Non una: tre cose, per me. La prima è che si vince senza apprendisti stregoni, quelli che le coalizioni le fabbricano collezionando bandierine e ceto politico (pure di centrodestra, che ci frega?!). Si vince se si condivide una visione, un’idea di governo, qualche straccio di valore, non solo un’ambizione”, scrive.

Poi rincara la dose e lancia un chiaro segnale agli alleati giallorossi. “La seconda cosa: si vince con i candidati giusti. Che non vuol dire piacioni bensì autorevoli per storia, faccia, autonomia e idee. Vedi Caltagirone e Vittoria e Favara (dove si vincerà al secondo turno)”, continua. Infine il colpo di fioretto “Infine si vince quando si gioca, quando ci si misura subito senza nascondersi dietro le meline romane. Roccuzzo, Palumbo e Aiello si sono candidati un anno fa, e i risultati sono arrivati. Altri ragionamenti, prudenze, rinvii, tatticismi, invasioni di campo ed eserciti forestieri servono solo a perdere. Pure a risiko”.

Insomma, il presidente della Commissione antimafia spinge per la definizione del progetto per le regionali e rammenta, tra le righe ma non troppo, di avere dato la propria disponibilità a correre per la presidenza diversi mesi fa. Nel campo del centrodestra, dilaniato dalle divisioni interne, è il leder di Cantiere Popolare-Noi con l’Italia Saverio Romano a strigliare gli alleati chiedendo di non marciare separati. “Urne chiuse in Sicilia e prime considerazioni sul voto alle elezioni amministrative in Sicilia. La prima riflessione sulla quale desidero tornare velocemente è quella dell’astensione: ha votato soltanto il 56% degli aventi diritto. Uno su due”, esordisce.  Poi mette le mani avanti.

“È pochissimo e questo dato non fa che confermare la sostanziale sfiducia nei confronti di certa politica. Per quanto riguarda il commento e l’analisi sul voto, premetto che non si può trarre un valore politico complessivo e generalizzato: sono troppe le differenze tra i diversi territori interessati, troppo eterogenee le coalizioni che di Comune in Comune erano diverse a seconda delle situazioni locali”. Poi aggiunge.

“È per questo che un significato politico vero e proprio non si può assegnare ma una cosa questa tornata elettorale la rivela e la conferma: se sbagli il candidato, perdi. Alle elezioni per il sindaco di una città, piccola o grande che sia, il profilo politico e culturale, la biografia del candidato, la sua coerenza, la sua credibilità, la sua capacità di amministrare, il programma di cui si fa garante e interprete, sono decisivi”, continua. “Cosa voglio dire? Che se sbagli candidato, perdi, al di là delle alleanze e delle sinergie tra partiti e movimenti”, spiega.

Come dire che l’autosufficienza nel centrodestra non può permettersela nessuno, così chiama gli alleati all’unità. “Certo, laddove una coalizione si presenta coesa e organizzata, con un candidato sindaco convincente, la strada è tutta in discesa. Ma, purtroppo accade sempre più spesso che qualche tassello di una coalizione si creda più forte e autosufficiente degli altri, determinando la sconfitta di tutti”, dice. E chiude con una nota ironica (ma non troppo). ”Ricordate la storiella di quello sprovveduto che tagliò il ramo su cui era seduto?”. 


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