Ciancimino ieri e oggi, le viscere malate di Palermo

Ciancimino ieri e oggi, le viscere malate di Palermo

Interi quartieri costruiti da Francesco Zummo quando don Vito controllava la macchina burocratica

PALERMO – L’arresto di Francesco Zummo mette di fronte ad un’amara verità. La Palermo di don Vito Ciancimino resiste. Che poi, a pensarci bene, basterebbe alzare gli occhi, per rendersene conto senza per forza ricorrere alle carte giudiziarie. Basterebbe guardare uno dei 2.700 immobili costruiti da Zummo durante il sacco edilizio per capire da dove vengono tante di quelle brutture che sfregiano la città.

Ed invece ci si mette di mezzo pure la cronaca. Zummo è finito ai domiciliari, peggio è andata al commercialista Fabio Petruzella che si trova in carcere. La cronaca scova un rivolo di 23 milioni di euro di quella fortuna accumulata con una speculazione senza precedenti.

Interi quartieri costruiti con i soldi sporchi della mafia quando don Vito controllava la macchina burocratica. Fu assessore ai lavori pubblici della giunta di Salvo Lima negli anni ’60 e sindaco per meno di due mesi nel 1970, ma i suoi legami con la mafia corleonese lo resero potente fra i potenti anche negli anni successivi.

Via Petrazzi, via Brunelleschi, Via Pietro Scaglione: palazzoni su palazzoni costruiti da Zummo. “Un paese, un intero villaggio”, diceva Rosario Naimo, garante della pax mafiosa fra gli scappati della guerra di mafia e i corleonesi di Totò Riina, infine divenuto collaboratore di giustizia.

Don Vito Ciancimino metteva a posto le cose. Si superavano ostacoli altrimenti insormontabili. Si rendeva possibile l’impossibile come il cambio di destinazione d’uso di intere aree industriali in zone residenziali in barba al piano regolatore. Si costruiva seguendo gli umori. Una palazzina qua e un’altra là, tanto i piani di lottizzazioni non erano previsti.

Come nel caso del rione Marinella, tra Tommaso Natale e lo Zen. Era un’area industriale e per cambiare la destinazione d’uso servivano una delibera del Consiglio comunale e un parere della Commissione urbanistica. Ed invece il 25 gennaio 1974 una delibera di giunta, la numero 123, diede il via libera alla cementificazione senza alcun piano di lottizzazione. Stessa cosa avvenne allo Sperone, a Partanna Mondello, nelle vie Oreto, Messina Marine e dell’Orsa minore. La Commissione edilizia del Comune fra il 1969 e il 1973 diede il via libera alla costruzione di interi quartieri in assenza di piani di lottizzazione.

Si fecero scudo con una menzogna. Stabilirono che si poteva procedere anche senza lottizzazione perché i piani volumetrici erano contenuti. Ed invece arrivarono colate di cemento. Alcuni anni dopo per Zummo arrivò pure un’assoluzione dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, e due no, in primo e in secondo grado, alla richiesta di confisca di un patrimonio sempre più ricco grazie ai nuovi affari di Zummo con il consuocero Vincenzo Piazza, altro costruttore e imperatore di Palermo.

Zummo ha creduto di avercela fatta a salvare il suo patrimonio ed invece a sconquassare in suoi piani intervennero prima la Cassazione, che annullò le sentenze che ordinavano la restituzione dei beni, e poi la Corte di appello che in un nuovo giudizio decretò la confisca, divenuta definitiva lo scorso luglio.

La Corte (presidente Fabio Marino, consigliere Filippo Messana e consigliere estensore Pietro Pellegrino) usò parole durissime. Il principio su cui era stata decisa la restituzione dei beni era che non ci fosse la prova che il costruttore avesse impiegato i soldi di Cosa Nostra. Mafiosa, però, e il collegio lo aveva ribadito, è anche l’impresa che “tragga dal rapporto col sodalizio di criminalità organizzata rilevanti vantaggi e concrete agevolazioni economiche”.

C’è di più però, perché chi decise di restituire i beni a Zummo lo fece ritenendo “arduo”, alla luce del tempo trascorso, approfondire i singoli affari illeciti nonostante le sentenze passate in giudicato avessero dato ampia prova dei rapporti di Zummo con Ciancimino e altri mafiosi.

Solo che “non è affatto necessario”, aggiunsero i giudici, individuare i singoli affari, ma sarebbe bastato attenersi al fatto che Zummo sfruttò i rapporti con Ciancimino e con altri mafiosi per accumulare “faraonici utili imprenditoriali”.


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