"Ho visto l'aldilà, sull'ambulanza ho chiesto perdono..."

“Ho visto l’aldilà, sull’ambulanza ho chiesto perdono…”

Un'esperienza limite. La corsa disperata in ospedale. E il ritorno.
CATENO DE LUCA RACCONTA IL SUO MALORE
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“Quando ero sull’ambulanza, paralizzato da un lato, ho pensato alla mia famiglia e ho chiesto perdono perché la passione politica mi ha fatto fare qualche assenza”. Mentre si chiacchiera di governo, di Micciché, di Schifani, nelle parole di Cateno De Luca fa irruzione il dolore. E la sua voce cambia. Da ruggente si abbassa, fino a diventare sommessa. Va così per tutti quando la normalità che consideriamo intangibile viene interrotta da una ancora più normale, ma spesso ignota, fragilità.

Cateno è stato malissimo, come è noto. Era nel suo ufficio, a Messina, quando il suo mondo si è raggelato per un malore molto forte. Un veloce soccorso e dei bravissimi medici lo hanno salvato, restituendolo ai suoi cari. Ma questo racconto, con tutto il rispetto, non poteva finire nella cronaca dell’Ars o della giunta che abbiamo trattato a parte. E’ una spina su cui è fiorita una rosa rossa di consapevolezza. Ed era destinato a una pagina diversa, alla grammatica del cuore umano che non è mai come lo disegniamo, nelle sue raffigurazioni stilizzate. Ha una forma anatomica, il cuore, però è indimostrabile. E assume il colore del timbro con cui narriamo la presa di coscienza del limite.

“Ero in codice rosso – racconta Cateno – con una diagnosi di ictus, sentivo il dottore, sull’ambulanza, che comunicava con l’ospedale. E io pensavo alla mia famiglia. Non ero preoccupato di morire, ma di lasciare sole le persone che amo, con tante storie aperte. Come uno che inizia un viaggio misterioso e sa che non tornerà mai più. Sono stato nell’aldilà, avevo la valigia in mano. Poi, qualcosa mi ha riportato qui”.

De Luca il guerriero. De Luca l’eccessivo. Scateno che dà sempre l’impressione di mettere mano alla fondina e meno male che non siamo nel Far West per cui non è semplice indossare la fondina con una pistola dentro. Scateno che esagera, che usa un linguaggio da trivio…. Cateno sommerso dall’affetto di un gigantesco popolo minuto che si è riversato in ospedale per avere notizie ed è stato necessario spiegarlo con un comunicato: grazie, ma, per favore, restate a casa. Cateno che ha la sua rabbia, ma che è ritornato, con la sua valigia di normalissime preoccupazioni e uno smarrimento, come una dolcezza, in fondo agli occhi. Lo guardi e pensi: qualcosa è cambiato.

“Mi ha chiamato il mondo, sono circondato dall’amore e questo già è tutto. Ma non scorderò mai che, nel momento che credevo finale, ho chiesto perdono e mi sono sentito confortato, fortunatissimo di avere con me le persone che amo”.

Cateno che abbassa ancora di più la sua voce, abbandonando Durlindana e invettiva. Siamo tutti paladini, cavalieri e fanti di cento battaglie terrene. Ognuno difende il suo piccolo regno, per onore, interesse o protervia. Ma quando il cielo si presenta, senza preavviso, torniamo bambini. E, nello sguardo, conserviamo lo stupore del primo attimo, del primo giorno in cui incontrammo la vita. (Roberto Puglisi)


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