“L’arresto di Messina Denaro mi ha scombussolato, anche perché avevo letto dei documenti in cui si ipotizzava che potesse essere la sua mano quella che ha colpito mio padre. Vorrei incontrarlo e parlargli, perché mi spiegasse tante cose che sono rimaste oscure e che forse non emergeranno mai”. Parole di Maria Irene Montalto, figlia di Giangiacomo Ciaccio Montalto, sostituto procuratore a Trapani e ucciso dagli uomini di Totò Riina quando lei aveva 12 anni, nella notte tra il 24 e il 25 gennaio 1983 a Valderice.
Sei mesi dopo con la madre e due sorelle Maria Irene si trasferì in Emilia e oggi parla alla Gazzetta di Parma, città dove vive e lavora. La cattura del boss di Castelvetrano l’ha riportata al dramma della sua vita: “Non in via formale – spiega – ma attraverso il carcere, già con Riina avevo provato chiedere se era possibile incontrarlo. Però ho capito subito che era un’utopia. Credo che anche con Messina Denaro finirà allo stesso modo. Certo, resta sempre la speranza che lui possa convincersi a collaborare, ma sono piuttosto pessimista. Ha un codice da rispettare e interessi troppo importanti da salvaguardare”.
“La verità – prosegue con amarezza – è che mio padre è stato isolato, lasciato solo da quello Stato che avrebbe dovuto proteggerlo”. E negli anni “papà è stato dimenticato: è la cosa che mi fa più male. Purtroppo ci sono vittime di mafia ricordate più di altre, come se ci fossero morti di serie A e di serie B”.