Ho dovuto percorrere in auto la Palermo – Catania. È una cosa che faccio malvolentieri e che cerco di fare il meno possibile perché conosco i limiti del mio sistema nervoso. Sono quasi 200 chilometri – più di due ore di percorrenza – in cui rimugini su come è possibile che nel 2023 si debba ancora percorrere una striscia di asfalto che nemmeno in Tanzania – con rispetto parlando – oserebbero chiamare autostrada. E pensare che è la strada che collega i due principali capoluoghi della Sicilia, percorsa ogni giorno da migliaia di automobilisti. Le alternative? Praticamente nessuna, considerata la precarietà del trasporto pubblico su rotaia e su gomma.
Dentro un videogame
Deviazioni, interruzioni, restringimenti. Cambi di corsia, lampeggianti, cartelli catarifrangenti. Avvallamenti dell’asfalto che ti regalano la sensazione del tagadà, l’incalzante ritmo delle “cerniere” che scandiscono l’attraversamento dei mille viadotti, qualche “scaffa” sparsa qua e là. E in più il campionario completo della segnaletica stradale: frecce bianche in campo azzurro, cartelli verticali a strisce bianche e rosse, pannelli gialli che si illuminano al passare dei fari, con spartitraffico e delineatori (questa parola l’ho scoperta oggi). Di giorno sembra di partecipare a una gimkana, di notte pensi di essere dentro un videogame. E non parliamo della sicurezza degli automobilisti.
Un simbolo di arretratezza
So bene che non è questo l’unico problema della Sicilia e nemmeno il più grave ma non per questo va sottovalutato. La A19, a mio avviso, ha un profondo valore simbolico perché è lo specchio delle infrastrutture in Sicilia: se questa è l’autostrada principale immaginate cos’è il resto degli assi viari che attraversano l’entroterra e che vengono chiamati statali o provinciali con grande ottimismo. La Palermo – Catania è un simbolo di come la Sicilia sia rimasta indietro di decenni rispetto al resto d’Italia (persino la Salerno – Reggio Calabria adesso è un altro mondo) e di come abbia accettato tutto con rassegnazione. Un senso di arretratezza che spesso coincide con la mancanza di decoro e la carenza dei servizi pubblici essenziali e che si riscontra nella maggior parte dei comuni siciliani, soprattutto quelli più grossi.
A19 di presidente in presidente
Tutti sanno che questo problema viene tramandato da almeno trent’anni a questa parte da un presidente all’altro. Le responsabilità sono state del centrodestra come del centrosinistra. Adesso il testimone è nelle mani di Renato Schifani che deve sobbarcarsi la sua quota parte. Per la verità, il presidente ha già preso a cuore l’argomento. Schifani ha scritto varie lettere di fuoco a Roma (la gestione della A19 è dell’Anas) senza però ottenere particolari risultati, se non qualche promessa di intervento. E già qui, al suo posto, sarei arrabbiato. Lo sarei ancor di più pensando che il presidente è stato indicato e annunciato più volte, pubblicamente, come “commissario” per la A19 ma a distanza di parecchie settimane quel mandato non è stato ancora formalizzato, costringendo il presidente della Regione a una avvilente attesa che si ripercuote sui siciliani.
L’ora delle rivendicazioni
Eccolo, il punto. La Palermo – Catania può diventare anche il simbolo del riscatto, di un nuovo modo di affrontare le situazioni. Cosa che avviene in molte regioni del nord dove anche un ritardo di tre minuti di un autobus provoca indignazione. Non è ora di alzare la voce, abbandonando le deboli rivendicazioni istituzionali e i delicati equilibri della politica che non interessano alla gente ? Non è ora di parlare meno di rimpasti e sottogoverni e pensare un po’ di più alle tante Palermo – Catania sparse in Sicilia? Non è l’ora di pretendere (e soprattutto meritare) adeguate attenzioni in grado di rialzare l’asticella dei nostri diritti? Forse su questa strada la politica ritroverebbe il consenso perduto.