CALTANISSETTA — L’accusa diventa più pesante. Non più falsa testimonianza, ma depistaggio. Le bugie sulla strage di via D’Amelio sarebbero iniziate subito dopo le bombe del ’92 per proseguire fino ai giorni nostri. Il 16 novembre scorso la Procura di Caltanissetta ha notificato a quattro poliziotti un nuovo avviso di conclusione delle indagini che sostituisce quello finora noto e datato 3 ottobre.
Quattro poliziotti sotto accusa
Il procuratore Salvatore De Luca e il sostituto Maurizio Bonaccorso si apprestano a chiedere il processo per Maurizio Zerilli, Giuseppe Di Gangi, Vincenzo Maniscaldi e Angelo Tedesco. Facevano parte del Gruppo “Falcone-Borsellino” e sono stati convocati durante il processo che ha visto imputati l’ex dirigente Mario Bò, gli ex ispettori Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo (per i primi due è scattata la prescrizione, il secondo è stato assolto ed è in corso l’appello). Il tribunale ha deciso di trasmettere gli atti in Procura.
Le loro deposizioni non hanno convinto. Troppi non ricordo che, secondo l’accusa, non sono giustificabili con il trascorrere del tempo. E tante circostanze ritenute false sulla gestione di Vincenzo Scarantino, un malacarne di borgata che si auto assegnava un ruolo chiave nelle stragi di mafia. Uno stuolo di magistrati, fra pubblici ministeri e giudici, si sono bevuti le sue menzogne. Una distrazione di massa. Cosa diversa, secondo l’accusa, sarebbe accaduta per il castello di bugie costruito ad arte sotto la guida dell’allora capo della squadra mobile Arnaldo La Barbera.
“Aggravante mafiosa”
Le minacce e le botte ricevute da Scarantino per convincerlo a raccontare bugie, i confronti con altri collaboratori che lo sbugiardavano ma rimasti nascosti per anni (“Tu sei bugiardo… quello che vi sta dicendo è una lezione che qualcuno gli ha messo in bocca“, diceva Salvatore Cancemi), i buchi nei riscontri alle false dichiarazioni (di recente è spuntata un’annotazione inghiottita per 31 anni in un buco nero), i sopralluoghi in giro per la città con il pentito della Guadagna: è in questo contesto che i poliziotti avrebbero mentito per sviare il processo penale. A cominciare dai tanti “non ricordo” riferiti alle volte in cui Scarantino avrebbe detto di essere innocente.
Il reato viene contestato ai poliziotti con l’aggravante di agevolare la mafia. Ci sarebbe un filo che lega la lunga stagione del depistaggio, iniziata quando le bombe dilaniarono i corpi di Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi e Claudio Traina, e proseguita fino ai giorni nostri.
La difesa
“Incomprensibile appare, a distanza di pochi giorni, il mutamento dell imputazione, dalla falsa testimonianza al depistaggio, e la nuova contestazione dell’aggravante di aver agevolato la mafia, stante l’immodificato compendio probatorio del procedimento”, commenta l’avvocato Giuseppe Seminara, legale dei poliziotti assieme a Maria Giambra e Giuseppe Panepinto.
“Data l’immutata permanenza della precedente imputazione per tutto lo sviluppo procedimentale, non si comprende se si tratti di un errore o di una discutibile strategia processuale – aggiunge Seminara -. D’altronde la stessa Procura ha proposto appello nei confronti dell’imputato Michele Ribaudo nel processo principale, nonostante l’evidenza della prova della sua innocenza. Si tratta di approcci processuali che mettono sovente l’ufficio del pubblico ministero ai margini di quella cultura della giurisdizione che dovrebbe essere patrimonio comune di tutte le parti processuali e che rendono inderogabile l’auspicata riforma della separazione delle carriere”.