PALERMO – Sei anni dopo il rinvio a giudizio sono stati tutti assolti. Si tratta di sette imputati fra dirigenti, dipendenti comunali e imprenditori accusati a vario titolo di falso, omissione di atti di ufficio e disastro ambientale. Il processo riguardava il ritrovamento di rifiuti tossici – soprattutto amianto – nel terreno del parco Cassarà a Palermo. Un parco ormai chiuso da 10 anni.
Il giudice monocratico della terza sezione penale del Tribunale, Fabrizio Lo Forte, ha assolto Francesco Savarino e Luigi Trovato (direttori dei lavori, erano difesi dagli avvocati Ottaviano Pavone e Basilio Milio), Emanuele Caschetto (legale rappresentante del consorzio che aveva realizzato i lavori), l’imprenditore Gianfranco Caccamo, Giorgio Parrino, Michelangelo Morreale ed Eugenio Agnello (l’intera commissione di collaudo). Due anni fa erano stati assolti in abbreviato l’architetto del Comune Vincenzo Polizzi, e gli imprenditori Filippo e Francesco Chiazzese.
Da anni si parla di riapertura, che resta lontana. L’amministrazione Lagalla ha aggiudicato la gara per analizzare le condizioni del sottosuolo (tecnicamente si chiama caratterizzazione). Il parco intitolato al capo della squadra mobile Ninni Cassarà ucciso dalla mafia è rimasto aperto appena due anni. Poi il ritrovamento dell’amianto, il sequestro e i tempi biblici della burocrazia costretta a fare i conti con le casse vuote. I familiari di Cassarà, alcuni mesi fa, hanno chiesto di togliere la targa con il nome del parente vittima dell’orrore mafioso. Un’iniziativa forte di fronte all’immobilismo (o quasi).