La mafia ai tempi di Tik Tok, è la stessa e si alimenta dei nostri torti

La mafia ai tempi di Tik Tok, resta la stessa e si alimenta dei nostri torti

Cosa rimane a Catania dopo l'ultima operazione antimafia

CATANIA – È una mafia che è pronta a tutto pur di sopravvivere. Un sistema criminale e tuttora violento che, come un fossile arcaico, si rinnova nei protagonisti ma che resta intatto nei nomi e cognomi. Nelle famiglie di sempre che diventano clan. 

Quella che sta per concludersi è stata la settimana che ha visto l’esito finale dell’indagine della Procura materializzarsi nel massiccio blitz della Squadra Mobile che ha portato ad una raffica di arresti per associazione mafiosa. L’ennesima operazione sul campo condotta dalle forze dell’Ordine.

La conferma che a Catania il circolo vizioso delle organizzazioni criminali prosegue nella sua opera fiorente nell’obiettivo principale di far soldi. Che sia droga o che siano appalti, racket o usura: è la scia del denaro che segna la traccia da seguire. Finito il tempo della caccia all’uomo con i morti ammazzati per strada registrati almeno fino alla metà degli anni novanta, oggi si opera in modo meno eclatante ma più produttivo. Insinuandosi anche tra le fessure tutt’altro che sigillate della politica e delle istituzioni.

Tant’è che nulla o quasi è mutato nei metodi e nella capacità di non subire alcuna interferenza. Tutto è uguale. Nel controllo dei quartieri, nella cappa di silenzio inquieta e complice, in quell’ostentazione pubblica e di sfida affidata oggi a Tik Tok. Nelle ultime retate si è intercettato qualche santino in meno da pregare (trasferito a pelle su qualche tatuaggio) ma l’etichetta dei cognomi è la stessa di sempre.  

I Santapaola, i Mazzei Carcagnusi. Tutte famiglie che non hanno mai spezzato il loro legame con Cosa Nostra palermitana.
I Laudani, i Cappello poi Bonaccorsi-Carateddi, i Cursoti, gli Sciuto Tigna, i Di Mauro Puntina, i Pillera. Gruppi di famiglie di stampo mafioso, in netto conflitto o in provvisoria alleanza tra loro a seconda del momento e degli interessi. 

Nella proprietà commutativa di una città che non riesce a liberarsi dall’asfissiante stereotipo “abbiamo l’Etna e abbiamo il mare”, cambiano gli addendi ma il risultato è uguale. Si resta osservatori inermi. Acchiappato un reggente, se ne sta già facendo subito un altro.

In una terra in cui la provvisorietà degli interventi mischiata all’emergenza costante (registrata in qualunque settore) alimenta indirettamente un sistema mafioso che si nutre dell’incertezza e dell’insofferenza dei suoi cittadini, la quotidianità diventa il terreno fertilissimo sul quale agire e fare proseliti. 

Le vicende legate al caos sui rifiuti, la necessità di non farsi trovare impreparati dinanzi a urgenze come la ormai ordinaria cenere vulcanica, la mancata rivoluzione culturale della differenziata (manco a dirlo ancora rifiuti), crisi idrica, strade sfasciate e cantieri autostradali senza data di fine: che ci azzeccano col mostro della criminalità? In verità, sono la didascalia di un disagio collettivo che non genera sviluppo e che diventa suggerimento al malaffare e alla mentalità mafiosa.

E, allora no, in queste condizioni non basterebbero davvero mille operazioni di polizia.


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