PALERMO- Agnese Piraino Leto riposa nel salone della sua casa, all’ottavo piano di via Cilea. Da una parete, suo marito, Paolo Borsellino, la guarda come se lui fosse ancora vivo e lei addormentata da poco. L’autore del quadro ha saputo cogliere il giudice nella sua espressione di scuola tra il perplesso e l’ironico, con l’immancabile sigaretta tra le dita e un fumo azzurrino che sembra perdersi oltre la cornice. E chissà se, ovunque egli sia, Paolo avrà già trovato il modo di scherzare con Agnese dell’accostamento dolce e strano che li ha posti accanto, tra dipinto e carne, in questa domenica di maggio.
E’ accaduto tutto d’estate, se diamo per scontato che il maggio siciliano sia un travestimento dei mesi successivi. Si è consumato tutto in una stagione lunga più di vent’anni. In quel 23 maggio, fu ucciso Giovanni Falcone con Francesca Morvillo. In quel diciannove luglio fu assassinato Paolo Borsellino. Con loro, morirono Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Gli agenti delle scorte avevano un nome. In questo cinque maggio si è compiuta una storia familiare e nazionale. Agnese ha chiuso gli occhi dopo un tempo interminabile di sofferenze e speranza. La retorica, a fin di bene, commemora il suo passaggio con una certezza che si legge su facebook e altrove: oggi è finalmente insieme a Paolo. E basta uno sguardo al salone per capire che il legame non si è mai interrotto, nemmeno fisicamente. Basta sbirciare il corpo di Agnese e il quadro che trattiene Paolo per comprendere che sono stati sempre insieme, nonostante il lampo di via D’Amelio.
Vicino al feretro scoperto c’è Salvatore Borsellino. L’atmosfera è serena. Non c’è disperazione. C’è il dolore che si stempera nella tenerezza e si trasforma in un’alchimia benevola.
In via Cilea Paolo e Agnese hanno assaporato i loro giorni, difficili, tremendi, semplici, bellissimi. L’appartamento dell’ottavo piano lascia respirare un’aria intatta di famiglia. Come se il dottore Borsellino, giudice integerrimo, padre e marito meraviglioso, vecchio ragazzo spiritoso, neanche tanto in fondo all’anima, dovesse aprire la porta con le chiavi e salutare la compagnia da un momento all’altro. Era davvero un uomo di spirito, Paolo Borsellino. A un giovane cronista diventato grande che gli pose non si sa più quale domanda, accennò un sorriso con una piega beffarda delle labbra e rispose: “Certo, u’ nivuru s’un tinci mascaria…“. Ai suoi ragazzi, a coloro che lo proteggevano, per alleviare la tensione di un’esistenza blindata, mormorava, entrando nell’ascensore: “Capienza… Ma ci capi Enza…”. Dalla lettura della targhetta di prammatica, era nata una battuta. Giochi di parole intraducibili dai non siciliani.
Da via Cilea, lo sposo di Agnese, il magistrato con la sigaretta, ogni tanto scappava. Fuggiva dal suo barbiere, Paolino, in via Zandonai, per dieci minuti di libertà. Il barbiere, una mattina, propose: “Dottore, se vuole le vengo a tagliare i capelli a casa”. E si becccò un cazziatone: “Sei matto, Paolino? Vuoi togliermi pure i miei dieci minuti di respiro”. Ogni tanto, le evasioni erano accompagnate da travestimenti. Cappellacci calati sulla fronte, bavero rialzato e occhialoni. A Paolo Borsellino piaceva mischiarsi con la gente.
Ecco, abbiamo parlato di lui e avremmo dovuto scrivere di lei. E’ uno sdoppiamento normale. Agnese non è mai stata una donna di copertina. Non ha mai giocato ad atteggiarsi da vedova illustre. Non ha disseminato né confessioni, né palpiti da scena madre. Ha scelto di essere una compagna discreta e fedele. E non è certo per latitanza di qualità o di mezzi che la luce decide di farsi ombra, di aspettare in disparte, di vegliare un’assenza in silenzio, conservandola.
In questo giorno è giusto ricordare a un Paese distratto l’importanza della verità, il peso di certe domande, l’urgenza di certe risposte. E’ pure necessario dare spazio al resto. Allo spessore domestico e privato di una esperienza. Agnese Piraino Leto, vedova Borsellino, non è soltanto sopravvissuta all’abisso del ’92. Ha continuato a vivere pienamente. Ha sofferto a causa di un male tremendo, rimanendo integra nella sostanza. Non è mai stata una vedova. Lo capisci guardandoli, Agnese e Paolo, lei come se dormisse, lui come se fumasse e avesse voglia di ridere. Non avranno bisogno di raccontarsi molto, tra una boccata azzurra e l’altra.