Caro Pippo Baudo, solo tre persone attiravano immancabilmente gli sguardi televisivi nelle case che ho conosciuto da bambino.
Uno era il Presidente Sandro Pertini per il discorso di Capodanno. Uno, in forma un po’ più da esoterismo pallonaro, era Paolo Valenti, quando con ‘Novantesimo Minuto’ interrompeva il digiuno dei gol della domenica. Il terzo era Lei, in qualsivoglia apparizione.
La nonna, in particolare, accorreva davanti alla tv. Era una antica e valorosissima vedova che aveva affrontato le salite di una vita ardua. Con pochi si scioglieva. E c’entrava sempre Lei.
Caro Pippo Baudo – scusi la confidenza, ma è solo purissimo affetto – Lei non poteva vederlo perché stava dall’altra parte della televisione, ma la sua comparsa, per noi da questa parte, era rassicurante.
Significava che il mondo restava al suo posto. Che non dovevamo preoccuparci di niente. Lei, col suo immane talento, entrava nelle abitazioni e nelle famiglie, dentro un immaginario di pensieri a cui aggrapparsi, per credere nella felicità. Se c’era Pippo Baudo in tv non avevamo nulla da temere.
Erano gli anni Ottanta, nonostante tutto, l’era della solidità. Perfino il telefono era ‘fisso’ con la sua rotellona che intrecciava le dita se dovevi comporre un numero con molti nove. Non c’erano i prefissi. I telefonini non li avevano neanche quelli di ‘Spazio 1999’.
Il galateo telefonico non ammetteva deviazioni. Si poteva chiamare fino alle otto di sera. Alle otto e mezza solo su appuntamento. Alle dieci solo per una inondazione condominiale. Dopo mezzanotte solo per la morte di un parente o per lo scoppio di un conflitto.
Tutto era fisso. Il posto di lavoro, i sentimenti, i valori. I castelli di sabbia coltivavano ambizioni durevoli. Nei cassetti c’erano gli album delle fotografie. Gli esseri umani non si uozzappavano, né si messaggiavano, si telefonavano. I social non esistevano. Nessuno avrebbe pubblicato una faccina, esistevano, però, le facce. Con le parole e gli sguardi. Ci si parlava, ricambiando gli occhi, come in una canzone di Claudio Baglioni.
Caro Pippo Baudo, qualcuno dirà che siamo nostalgici, nel commemorarla. In effetti è un po’ vero. Sarà l’età che avanza o la bellezza che retrocede, chissà. Ma io ricordo che scorgerla in tv, per grandi e piccini, aveva il senso di una perennità, nel tempo delle cose che non si smarrivano. Era un approdo. La bandierina della gioia piantata su ogni angoscia.
Se quell’ieri fosse ancora oggi, in questi momenti, ci telefoneremmo per raccontarci il nostro acuto dispiacere con quegli apparecchi di famiglia e le dita e il cuore intrecciati. E sarebbe una domenica di dolore, appena addolcita dai pasticcini portati da uno zio in occasione del pranzo familiare.
Siamo tristi, mentre srotoliamo il filo vintage della commozione. Perché è morto uno di famiglia. Uno a cui abbiamo voluto davvero bene. Caro Pippo, se ne va un parente.
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