PALERMO- Tre grandi filoni processuali ed un altro che ha preso il via a marzo non sono ancora stati sufficienti a scoprire tutta la verità sulla strage di via D’Amelio. Dopo ventun anni la vicenda giudiziaria non si è ancora chiusa e continua a snodarsi tra misteri e domande alle quali, anche Agnese Borsellino, moglie del giudice, non è riuscita ad avere risposte prima di morire. “Non so se il periodo più terribile fu quello che precedette la morte di Paolo – rivelò un giorno a Roberto Scarpinato, oggi procuratore generale del Tribunale di Palermo – perché temevamo per la sua vita in ogni momento, o quello successivo alla strage”. Un arco di tempo infinito, che parte dal 1994 e non trova al momento fine.
Il primo processo, quello storico, prese il via proprio nel ’94. Le indagini erano quelle del pool guidato da Arnaldo La Barbera, ex capo della squadra mobile di Palermo. Imputati quali esecutori Salvatore Profeta, Giuseppe Orofino, Pietro Scotto e il falso pentito Vincenzo Scarantino, che si era autoaccusato di aver rubato la Fiat 126 poi parcheggiata davanti all’abitazione della madre del giudice e poi fatta esplodere. In primo grado i primi tre sono stati condannati all’ergastolo e Scarantino a diciotto anni. In appello sono stati confermati l’ergastolo solo per Profeta e i diciotto anni per Scarantino. Condanna a nove anni, invece, per Orofino, con l’accusa di favoreggiamento, Scotto assolto. Le condanne sono definitive.
Il processo bis iniziò invece il 21 ottobre 1996, in cui erano imputati i mandanti della strage: Totò Riina, Carlo Greco, Salvatore Biondino, Pietro Aglieri e Giuseppe Graviano. Imputati anche Giuseppe Calascibetta, Natale Gambino, Giuseppe La Mattina, Cosimo Vernengo, Lorenzo Tinnirello, Giuseppe Urso, Salvatore Vitale; Gaetano Murana e Antonino Gambino; Salvatore Tomaselli e Giuseppe Romano. Agli atti del processo bis, oltre alle dichiarazioni di Vincenzo Scarantino, vennero acquisite quelle dei collaboratori di giustizia Salvatore Cancemi, Giovanbattista Ferrante, Calogero Ganci e Francesco Paolo Anselmo. Il processo si è concluso il 18 marzo del 2004 con tredici ergastoli per Totò Riina, Salvatore Biondino, Pietro Aglieri, Giuseppe Graviano, Carlo Greco, Gaetano Scotto, Francesco Tagliavia, Cosimo Vernengo, Giuseppe La Mattina, Natale Gambino, Lorenzo Tinnirello, Giuseppe Urso e Gaetano Murana.
Il Borsellino ter cominciò due anni dopo: accorpato a uno dei filoni processuali della strage di Capaci, si è concluso nel 2006 con altri diciotto ergastoli. Condannati Bernardo Provenzano, Pippo Calò, Michelangelo La Barbera, Raffaele e Domenico Ganci, Francesco e Giuseppe Madonia, Giuseppe e Salvatore Montalto, Filippo Graviano, Cristoforo Cannella, Salvatore Biondo il “corto” e Salvatore Biondo il “lungo”, Giuseppe Farinella, Salvatore Buscemi, Benedetto “Nitto” Santapaola, Mariano Agate, Benedetto Spera. Condannati a varie pene anche cinque collaboratori: Antonino Giuffré, Stefano Ganci, Salvatore Cancemi, Giovanni Brusca e Giovambattista Ferrante.
Il 22 marzo di quest’anno si è invece aperto, nell’aula della Corte d’Assise di Caltanissetta, il Borsellino quater. Imputati i boss Vittorio Tutino, Salvo Madonia, Calogero Pulci, Francesco Andriotta e Vincenzo Scarantino, i tre falsi pentiti che crearono il depistaggio costato l’ergastolo a sette innocenti. La Procura, all’apertura del processo ha previsto una sfilza di testi da interrogare, almeno trecento tra pentiti – uno fra tutti Spatuzza, che ha consentito di riaprire l’inchiesta – politici, inquirenti e parenti delle vittime. Tra le più recenti deposizioni, quelle di un ex funzionario della Dia, che ha parlato della cosiddetta pista del castello Utveggio e dell’agenda rossa di Borsellino, rubata sul luogo della strage e mai ritrovata.
Ma parte del processo viene anche dedicata anche all’approfondimento della trattativa Stato-mafia, del quale percorso sarebbe stata tappa la presunta mancata cattura di Bernardo Provenzano nel 1995. La vicenda travolse Mario Mori e Mauro Obinu, il generale e il colonnello dei Ros assolti in primo grado mercoledì, dopo un processo di cinque anni, dalla quarta sezione penale del Tribunale di Palermo.