PALERMO– È una storia bellissima quella di Delia Barzotti: originaria di Palermo, ma trapiantata a Trieste. Delia, rimasta incinta a un anno di distanza dall’inizio del suo contratto a tempo determinato, ha ricevuto l’offerta del posto fisso. Lei è una lavoratrice dell’azienda triestina Cpi-Eng, operante nell’ambito dell’ingegneria e della progettazione, con clienti come Wärtsilä o Renault (una quarantina di dipendenti di cui figure femminili, tutte in posizioni dirigenziali). È emigrata circa tre anni fa, dopo una laurea conseguita presso l’ateneo palermitano in Scienze della comunicazione e la nascita del primo figlio.
“Circa un anno fa – racconta Delia raggiunta da LiveSicilia.it – sono rimasta incinta della nostra seconda figlia. Avevo paura di incontrare difficoltà, sebbene l’azienda per cui lavoro abbia mostrato da sempre particolare sensibilità per tematiche come la famiglia: esistono infatti degli spazi in cui è possibile lasciare i nostri figli durante le ore lavorative, con figure professionali. Nel mese di maggio 2017 sono andata a comunicare la mia gravidanza al nostro capo Christian Bracich, che, invece di farsene un problema, mi ha chiesto di organizzarmi per poter continuare a svolgere le mie mansioni”. Un contratto che – così – è diventato a tempo indeterminato con annesso aumento dello stipendio.
“Il mio è un lavoro che può essere svolto anche soltanto con un telefono e un computer – spiega Delia – alcuni giorni andavo in azienda, altri restavo a lavorare da casa, il tutto senza particolari stress. Sul momento il comportamento del mio capo mi ha meravigliato, poi ho riflettuto sul fatto che tutto ciò non dovrebbe nemmeno destare scalpore in una società basata sulla correttezza”.
La vicenda è finita in questi giorni sulle pagine di diverse testate, locali e nazionali, a pochi mesi dalla nascita della secondogenita di Delia.
Una vicenda di civiltà e di speranza, quindi, specie se confrontata con lo scenario circostante: soltanto un anno fa, l’Osservatorio nazionale mobbing rilevava come fossero più di 500 mila le denunce di donne, fra i 25 e i 35 anni, licenziate perché incinte. Un dato davvero poco consolante, cresciuto negli ultimi cinque anni di circa il 30%.