Domani, il giudice Paolo Borsellino avrebbe compiuto settant’anni. Le sue candeline rosse sono fantasmi. Le immaginiamo su una torta immensa, senza poterle afferrare, né soffiarci sopra. Forse, Paolo Borsellino sarebbe morto lo stesso anzitempo, come un borghese normale, nel suo letto, stroncato da un tumore, da una malattia, a cinquant’anni. O forse, chissà… Avrebbe continuato ad indagare, con lo scrupolo di sempre. E qualcuno lo avrebbe definito “toga rossa”, lui che era un uomo di destra, della destra onesta, migliore, pulita e col senso dello Stato.
Di solito, ricordiamo la fine della sua esperienza. Ricordiamo i frammenti incandescenti di quel 19 luglio 1992. Abbiamo ancora negli occhi, depositati da qualche parte del cuore, i tizzoni di corpi e cose fumiganti che accesero la via D’Amelio, a Palermo. Ma se il senso della vita di un uomo sta molto nella sua morte, è vero anche che tanta altra parte di quel senso risiede soprattutto nella vita, nella scelta di vivere in un certo modo. E la nascita è l’avvio involontario di questo spazio di libertà.
Ci dispiace per la morte di Paolo Borsellino e dei suoi ragazzi. Ma pensiamo che sarebbe stato peggio se uno come lui non fosse mai nato. Per la sua famiglia e per noi. Buon compleanno, giudice. R.P.
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