CATANIA – Non solo numeri non corrispondenti, ma procedure non regolari. La sezione di controllo della Corte dei conti, nella deliberazione 154 del 2018, relaziona nel dettaglio tutto quello che ha portato lo squilibrio strutturale di Palazzo degli Elefanti, evidenziando quanto effettuato dagli uffici comunali negli anni di vigenza del pieno di rientro, ovvero quelli dell’amministrazione Bianco, per fare quadrare conti che, a quanto pare, proprio non tornano. Al di là, dunque, di quanto rappresentato nel piano di riequilibrio approvato dal consiglio comunale nel 2013, quello che di fatto non ha retto, la Corte stigmatizza azioni poste in essere per quadrare il cerchio.
“Dall’esame del rendiconto 2015 emerge una differente modalità di quantificazione del risultato di amministrazione – scrivono i giudici. La differenza positiva di 43.971.358,98 euro, secondo quanto emerso in sede istruttoria, risulterebbe generata, oltre che dalla gestione ordinaria, dall’utilizzo delle risorse da rinegoziazione di mutui con la Cassa Depositi e Prestiti. Detto risultato, grazie al quale l’ente consegue il recupero sia del disavanzo progressivamente generato dall’esercizio 2012 al 2014, risulterebbe, in realtà, solo apparentemente positivo, in considerazione del fatto che lo stesso è stato conseguito attraverso una diversa distribuzione delle quote accantonate e vincolate del risultato di amministrazione rispetto a quelle del riaccertamento straordinario, ma anche e soprattutto in assenza di costituzione di altri fondi obbligatori per legge nonché della sottostima di quelli costituiti per la prima volta in fase di rendiconto”. Un’operazione, oltre tutto, che “risulta compiuta in assenza di una delibera di ripiano del disavanzo generato nel triennio 2012-2014 e senza la corretta imputazione nel bilancio di previsione della quota del disavanzo da ripianare, ad eccezione della quota trentennale”. Le anomalie riscontrate dalla Corte, che poi portano alla deliberazione con la quale i giudici contabili certificano il fallimento strutturale del Comune di Catania, vengono elencate secondo dei macro argomenti.
FONDO PLURIENNALE VINCOLATO. “Con riferimento al Fondo pluriennale vincolato – si legge nella nota 154 – si riscontrano numerose anomalie in merito alla composizione dello stesso alla data del 1° gennaio 2015”. Le anomalie riguardano “la presenza, nello Fpv, di residui attivi relativi ad entrate tributarie (recupero credito ICI e TOSAP) che per loro natura non si prestano a concorrere alla determinazione del FPV poiché trattasi di entrate che presuppongono l’esistenza di un titolo giuridico al momento del relativo accertamento e per le quali l’accertamento stesso dovrebbe coincidere con la loro esigibilità”. Importi che, secondo la Corte, sono stati accertati al dicembre 2014, cancellati il 1 gennaio 2015 e che spuntano nuovamente nell’esercizio 2015. “Per effetto della stessa reimputazione ad esercizio successivo – si legge nella relazione – deve essere qualificata quale entrata non di pertinenza dell’esercizio 2014, con inevitabili refluenze sul rispetto del patto di stabilità interno per l’anno 2014”.
La Corte evidenzia anche “l’assenza di adeguati cronoprogrammi di spesa, come evidenziato dal Collegio dei revisori, nonché la presenza nello stesso di residui per i quali risulta dubbia l’esistenza del titolo giuridico al momento del relativo accertamento/impegno, nonché la relativa imputazione contabile all’esercizio 2015 secondo il criterio dell’avvenuta esigibilità”. E parla di “Anomale irregolarità devono essere rilevate in merito alla gestione del FPV in corso di gestione ordinaria”.
GESTIONE RESIDUI. “Relativamente alla rivisitazione dei residui – riportano ancora i giudici – le operazioni compiute in sede di riaccertamento straordinario non risultano coerenti con i principi dettati dalla contabilità armonizzata”. In particolare, “si segnala l’anomala cancellazione di residui di parte capitale riferiti alla costruzione dell’edificio per edilizia “Programma integrato S. Cristoforo” in relazione alla quale, in sede di riaccertamento straordinario, l’ente provvede a cancellare un residuo passivo di € 1.520.394,38 mantenendo, nel conto del bilancio, il corrispondente importo contabilizzato tra i residui attivi per il finanziamento dell’opera, con effetti positivi sul risultato di amministrazione al 1° gennaio 2015”.
CASSA. I giudici contabili tornano anche sulla gestione di cassa, stigmatizzando Il costante ricorso all’anticipazione di tesoreria, la bassissima percentuale di riscossione delle entrate da recupero evasione tributaria – “complessivamente pari allo 0,49% circa nel 2015 (gli incassi da recupero evasione Imu e sulla tassa sui rifiuti risultano pari a 0) e al 22,6% nel 2016. Va precisato, a riguardo – scrive la Corte – che l’aumento della percentuale di riscossione nel 2016 è attribuibile principalmente ad una consistente riduzione degli accertamenti nell’anno (da € 56.613.844,40 del 2015 ad € 20.666.119,75 nel 2016)”.
DEBITI. Per quanto riguarda la situazione debitoria, la Corte si sofferma sul riconoscimento dei debiti fuori bilancio, evidenziando come molti siano finanziati senza però il necessario riconoscimento del Consiglio comunale. “Si sottolinea – scrivono – la grave criticità, sia in merito al parziale finanziamento (€ 34.889.073,63) e pagamento (€ 26.971.504,77) di detti debiti prima del relativo riconoscimento, sia in merito alla loro esistenza già al momento dell’approvazione del piano di riequilibrio pur se censiti solo successivamente. IL consistente ricorso ad altre forme di accordo con i creditori dell’ente per la risoluzione dei rapporti debitori che esulano dalla formale procedura di riconoscimento dei debiti fuori bilancio”. Forme di contrattazione che, tra l’altro non avrebbero dato vantaggi all’ente. “Va rilevato, tuttavia, che buona parte delle transazioni non hanno evidenziato realizzi di economie a favore dell’ente”.
Tra le transazioni stipulate nel 2017, “particolare rilevanza assume l’accordo con Europea 92 relativamente al debito di 2.733.972,20 euro emerso negli anni precedenti e non ricompreso nel piano di riequilibrio pluriennale”. Tante le criticità sulla questione: il debito, non riconosciuto, ha causato l’aggravio delle spese di contenzioso. La stipula di un accordo transattivo nel 2016 con il creditore, al quale l’ente non ha dato seguito, per il mancato pagamento delle rate; “la segnalazione da parte dei legali del creditore circa l’esistenza di liquidità giacente presso conti correnti postali intestati all’ente, vincolati per il pagamento del suddetto debito, non riversata nel conto corrente della tesoreria unica e successivamente oggetto di pignoramento presso terzi; circostanza – scrivono i giudici – mai denunciata né da parte dell’ente, né da parte del Collegio dei revisori, con gravi ripercussioni sulle giacenze di cassa, sul discarico dei residui attivi cui erano riferite le giacenze di liquidità presenti nei conti correnti postali dedicati e sulla consistenza delle procedure esecutive non regolarizzate ai fini del rispetto del parametro 5 di deficitarietà strutturale”; e si parla di irregolarità dell’ulteriore accordo stipulato nel 2017, considerato irregolare.
PARTECIPATE. Innanzitutto, la Corte evidenzia come “Gli ultimi dati conosciuti in merito alle posizioni creditorie/debitorie dell’ente nei confronti delle partecipate risalgono all’esercizio 2014” e sottolinea, come fatto già nelle relazioni precedenti, questioni non chiare in relazione a Sidra, Amt e Catania Multiservizi, per le quali i giudici parlano di gravi irregolarità. In particolare, la Corte si sofferma sulla liquidazione dell’Amt – oltre che sulle somme che, dall’azienda in liquidazione sono state spostate al Comune e utilizzate per la spesa corrente. I magistrati contabili parlano di “l‘assenza di una reale chiusura della liquidazione poiché nonostante l’approvazione del bilancio finale in data 14 settembre 2016 e conseguente traslazione dei valori nel rendiconto 2016 del comune, è stato nominato nel 2017 un altro commissario liquidatore”. “Con riferimento alle partecipate, infine, non risulta trasmessa, seppur approvata, la deliberazione in merito alla revisione straordinaria delle partecipazioni”.
PERSONALE PRECARIO. I Puc, di cui si è sentito parlare tanto in occasione degli annunci di stabilizzazione del precariato storico, non avrebbero potuto essere assunti. “Pur usufruendo dei finanziamenti regionali – scrivono i giudici – la decisione assunta di procedere alla conversione di 53 rapporti di lavoro a tempo determinato in assunzioni a tempo indeterminato comporta comunque un onere per l’amministrazione procedente destinato a gravare in modo stabile e per un arco temporale talmente ampio da non avere alcuna certezza sulla possibilità di disporre in maniera permanente della contribuzione dei finanziamenti regionali per sostenere le spese correlate ai predetti rapporti di lavoro”. Secondo i magistrati, il Comune avrebbe dovuto operare una scelta diversa perché. “pur usufruendo dei finanziamenti regionali, la decisione assunta di procedere alla conversione di n. 53 rapporti di lavoro a tempo determinato in assunzioni a tempo indeterminato comporta comunque un onere per l’amministrazione procedente destinato a gravare in modo stabile e per un arco temporale talmente ampio da non avere alcuna certezza sulla possibilità di disporre in maniera permanente della contribuzione dei finanziamenti regionali per sostenere le spese correlate ai predetti rapporti di lavoro”.
BILANCIO DI PREVISIONE 2016. La Corte, tra le altre cose, parla di “una sovrastima delle previsioni di entrata non tradotte, poi, in accertamenti a rendiconto 2016, con particolare riguardo alle alienazioni immobiliari, ai trasferimenti regionali e statali e al finanziamento di opere pubbliche mediante fondi europei per un totale di € 59.771.804,86 (accertati per € 10.793.536,44)”.
MISURE CORRETTIVE. La rimodulazione del piano di riequilibrio che avrebbe consentito di ripianare il debito in trent’anni, avrebbe dovuto essere approvata entro il 31 maggio 2017, ma il Consiglio approva il 2 giugno. “Viene a configurare una vera e propria decadenza consumandosi il potere riconosciuto dalla norma. Conseguentemente, la predetta rimodulazione/riformulazione del piano di riequilibrio è da considerare illegittima dal momento che non risulta rispettato il termine perentorio del 31 maggio 2017 previsto dal legislatore”. La conseguenza di questo calcolo errato “è l’impossibilità di prevedere il ripiano dei 140 milioni secondo la programmata ripartizione in un trentennio così che l’ente risulta costretto a ritornare all’originaria previsione contenuta nel piano di riequilibrio approvato dal Consiglio Comunale con la delibera n. 14 del 2 febbraio 2013”. L’approvazione del piano di riequilibrio come anche la successiva modifica dello stesso “non costituiscono, al riguardo, idonee misure in grado di attuare i necessari interventi volti a regolarizzare le criticità rilevate. Pur in presenza di criticità contraddistinte da una considerevole rilevanza, il Comune di Catania non ha proceduto all’approvazione di idonee misure correttive volte a favorire la riconduzione della gestione entro i parametri della sana gestione finanziaria”.
ENTRATE. Altro sistema studiato dal Comune per predisporre i bilanci di previsione era iscrivere nel bilancio somme relative ad accertamenti avviati sono al dicembre 2014, quindi non a conoscenza neanche dei destinatari. L’ente “non poteva, a quella data, accertare la predetta entrata imputandola al predetto esercizio finanziario in quanto così facendo, in contrasto con il principio di veridicità, e tenuto conto che, nel medesimo esercizio, l’ente ha conseguito un saldo positivo pari a 9 milioni di euro ai fini della verifica del patto di stabilità si è posta in essere una condotta che ha permesso di eludere i vincoli posti dalla predetta normativa”. Procedura definita “illegittima – si legge – e la conseguente verifica del mancato raggiungimento dell’obiettivo rende applicabili, nei confronti del comune di Catania, le sanzioni come previste dalla normativa vigente.
RENDICONTI 2015-2016. “L’esame dei rendiconti relativi agli esercizi 2015 e 2016 evidenzia una situazione di grave e irreversibile criticità riferita alla gestione di cassa che costituisce una delle principali condizioni che contraddistingue in modo negativo la situazione economico finanziaria del comune di Catania” – scrivono ancora i giudici. Che evidenziano “la presenza di debiti fuori bilancio, per importi così rilevanti e crescenti nel tempo, fa sì che il bilancio ed i documenti contabili risultino privi della necessaria attendibilità e veridicità in considerazione della circostanza che una porzione considerevole delle spese viene disposta in difformità alle regole fissate dalle norme e dai principi contabili”.
Tutto questo ha reso difficile anche le verifiche da parte dell’ente preposto al controllo. “l’anomala e irregolare prassi che ha contraddistinto la gestione delle spese nel corso degli ultimi esercizi ha prodotto quale ulteriore conseguenza l’impossibilità di verificare l’effettiva condizione di strutturale deficitarietà dell’ente dal momento che, come già riscontrato nei precedenti cicli di controllo, negli ultimi esercizi finanziari, il comune di Catania non è considerato strutturalmente deficitario solo perché in apparenza i debiti riconosciuti non superano nell’ultimo triennio la soglia dell’ 1 per cento in rapporto alle entrate accertate”.
Criticità per cui i giudici invocano l’intervento della Procura della Repubblica. “Le predette criticità, in coerenza con gli indirizzi espressi dalla Corte Costituzionale e già in precedenza richiamati in riferimento alla natura del bilancio quale “bene pubblico”, determinano la necessità che, con specifico riguardo alle condotte adottate con le quali sono state poste in essere le scelte contestate, possano essere svolte le più idonee valutazioni da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catania e della Procura Regionale della Corte dei conti alle quali il Collegio reputa opportuno trasmettere la presente deliberazione. Pur in presenza di criticità contraddistinte da una considerevole rilevanza, il Comune di Catania non ha proceduto all’approvazione di idonee misure correttive volte a favorire la riconduzione della gestione entro i parametri della sana gestione finanziaria.