Il boss Marcello Magrì al 41 bis |"È uno dei reggenti dei Santapaola" - Live Sicilia

Il boss Marcello Magrì al 41 bis |”È uno dei reggenti dei Santapaola”

Carcere duro per l'esponente della famiglia catanese di Cosa nostra.

il decreto del ministro della giustizia
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CATANIA – Carcere duro per Angelo Marcello Magrì. Il decreto firmato dal ministro della Giustizia Andrea Orlando è datato 9 marzo 2018. Il boss della famiglia Santapaola finisce, dopo oltre un anno dal suo arresto, al regime del 41 bis. Colloqui meno frequenti con i familiari e corrispondenza controllata. Tutto per limitare al massimo qualsiasi contatto con l’esterno e soprattuto con i sodali a piede libero. Un provvedimento che serve a prevenire qualsiasi connessione tra il carcere e la cosca di riferimento. E quindi impedire che possano partire ordini e direttive da parte del boss, considerato “uno dei reggenti della famiglia catanese di Cosa nostra”.

Angelo Marcello Magrì, fratello dell’uomo d’onore di Cosa nostra Orazio (detenuto al 41bis), era rimasto fuori dai giochi per quasi 15 anni. Ma nonostante la detenzione il boss avrebbe percepito lo stipendio dal clan. Nella relazione della Direzione Distrettuale Antimafia di Catania si traccia il suo profilo e la sua ascesa criminale. Marcello Magrì è “stato scarcerato il 12 febbraio 2015 e dopo 14 anni di detenzione” avrebbe “subito ripreso il ruolo già occupato dal fratello Orazio, affiancando Francesco Santapaola (detto “Coluccio” e cugino di secondo grado di Nitto, anche lui al 41 bis) nella direzione di Cosa nostra catanese, clan Santapaola – Ercolano, così dimostrando di non aver rescisso, nonostante la lunga detenzione, il vincolo che lo legava all’associazione mafiosa di riferimento”.

Il ruolo direttivo di Marcello Angelo Magrì, inoltre, emerge da numerose inchieste della Dda di Catania, tra cui Kronos, Carthago 2 e anche Chaos. Anzi per un periodo sarebbe stato il reggente della famiglia catanese di Cosa nostra. E precisamente dopo l’arresto di Francesco Santapaola ad aprile 2016. In quel periodo avrebbe assunto il timone del comando. Attorno a lui Magrì avrebbe creato una squadra di fidatissimi con cui continuare gli affari economici di alto livello, tra cui appalti ed estorsioni. Inoltre avrebbe partecipato a summit di alto rilievo con rappresentanti di mandamenti agrigentini. Per la droga invece sarebbe stato affiancato da Rosario Lombardo. I due avrebbero – dicono i pentiti –  cercato di conquistare il monopolio delle piazze di spaccio di Catania anche approfittando della latitanza di Andrea Nizza, che da lontano non poteva controllare di persona gli “affari”. Intercettazioni, filmati e anche le rivelazioni di una lunga lista di pentiti permettono agli inquirenti di documentare il ruolo di Magrì ai vertici della cupola.

Parlavamo di pentiti. Uno dei primi a parlare di Marcello Angelo Magrì è Salvatore Cristaudo, soldato del clan Nizza, che racconta di una “riunione mafiosa” avvenuta poco prima del suo arresto (è la primavera del 2015) dove è stata “ufficializzata la reggenza di Angelo Marcello Magrì al posto dei fratelli Nizza detenuti e Andrea all’epoca latitante”. Alle sue rivelazioni si aggiungono anche quelle di Angelo Bombace, anche lui componente della squadra di Librino, che afferma che dopo l’arresto degli uomini di fiducia di Andrea Nizza ha preso il comando per la gestione dello spaccio “Marcello Magrì e Rosario Lombardo, detto Saro U Rossu”.  Ed ha aggiunto che i due “nel 2015 erano i responsabili del gruppo di San Cristoforo”. Il boss di Belpasso Gianluca Presti, nel 2017, guardando la foto di Marcello Magrì racconta: “È stato il responsabile delle piazze di spaccio per i Santapaola e dopo l’arresto di Ciccio Santapaola doveva gestire gli affari della famiglia Santapaola”. Il fratello Mirko lo descrive come “il reggente della famiglia Santapaola tra il 2015 e il 2016”. Profilo confermato anche dal killer Carmelo Aldo Navarria.

L’analisi della Dda di Catania è stata pienamente condivisa anche dalla Dna (Direzione Nazionale Antimafia) che nella sua nota mette in evidenza come “uno stato di detenzione secondo ordinarie modalità potrebbe facilitare il mantenimento ed il rafforzamento dei rapporti del detenuto con l’ambiente criminale esterno”. Una valutazione condivisa dal Ministro della Giustizia che ha firmato il decreto.


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