CATANIA – Francesco La Rocca il “grande mediatore”, “il patriarca” ma soprattutto “il boss”. Definire con un solo termine il capo ergastolano della famiglia di Cosa Nostra di Caltagirone è impresa ardua. Ufficialmente allevatore negli sperduti agri di San Michele di Ganzaria nel cuore della Sicilia, quella di La Rocca è una storia criminale che iniziò negli anni ’50. E’ stato lo stesso capomafia a narrare, in una storica intercettazione, quella che lui stesso definì la sua “natura”. Il suo padrino d’iniziazione alla tenera età di 18 anni nel 1956 fu l’ex capo della famiglia di Ramacca (CT) e rappresentante provinciale Calogero Conti che lo assegnò inizialmente al ruolo di soldato della famiglia di Mazzarino allora rientrante nel mandamento di Riesi: “Mi hanno aperto gli occhi – racconta La Rocca a due anziani mafiosi di Palma di Montechiaro (AG) durante una conversazione intercettata dal Ros – ma gli chiesi “ma come mai non devo essere con vossia a Catania?” E mi rispose “Che sacciu mi era parso (sembrato) che forse “U Zu Pippu” (Di Cristina) era scarso di personale””.
Il padrino, storico nemico di Piddu Madonia, fu uno dei fautori dell’ascesa della famiglia catanese dei Mirabile, imparentati con i Santapaola e inseriti nei ruoli apicali del clan fino alla reggenza della stessa famiglia di Catania. La Rocca è stato uno dei boss più affezionati alle arcaiche regole di Cosa Nostra, fatte di santini e rispetto. Padrino d’affiliazione di Maurizio Di Gati ex reggente della famiglia di Cosa Nostra ad Agrigento poi diventato collaboratore di giustizia. Proprio attorno la figura di Di Gati emerse il ruolo di primo piano di La Rocca a livello regionale tanto da scontrarsi per la nomina addirittura con Bernardo Provenzano, sponsor di Giuseppe Falsone.
La crudeltà di Ciccio La Rocca è stata raccontata nei dettagli dal pentito catanese Antonino Calderone, “Dopo che toglieva la vita a qualcuno – raccontò Calderone – si trasformava in una bestia, si scatenava, prendeva a calci il morto e gridava come una belva. Le persone preferiva strangolarle per non fare rumore con la vittima che si dibatteva a assumeva un’espressione terribile”.
La Rocca dopo aver militato per vent’anni nelle fila della famiglia di Caltanissetta decise nel 1981 di crearsene, a dimostrazione della sua importanza nell’ambiente mafioso della Sicilia, una autonoma ma strettamente collegata con quella di Catania guidata da Benedetto Santapaola. Appartenente alla corrente oltranzista della mafia siciliana, legata ai corleonesi di Totò Riina, dopo quattro anni di detenzione conclusi nel 2000, il patriarca con il supporto diretto del nipote Gesualdo aveva cercato, dopo la “guerra” di mafia nel 1998, di rimettere in ordine i pezzi delle famiglia mafiose di Enna, Agrigento e Caltanissetta fino all’arrestato nell’ambito dell’indagine “Dionisio”.
La Rocca nella sua lunga carriera criminale si è anche interessato di politica. Nel corso di una conversazione con Sebastiano Rampulla, fratello di Pietro, uno degli “artificieri” dell’attentano al giudice Falcone, il boss calatino impartiva disposizioni su voti e tornate elettorali “Berlusconi si vota qui…anche se c’è uno nella provincia di Enna a cui non bisogna dare voti, pure se berlusconiano… si vota sempre per il Polo, però questo cornuto non deve avere voti”.
Alla famiglia di Caltagirone appartengono anche il figlio del boss, Francesco Gioacchino. Condannato nel 2002 a 6 anni per alcune estorsioni è stato coinvolto nell’ambito dell’operazione odierna con l’accusa di associazione mafiosa. Al figlio dello storico patriarca della mafia calatina non è stato però riconosciuto dal gip il ruolo di reggente della famiglia nonostante la richiesta fosse stata avanzata da parte della Procura. Nell’organigramma della famiglia è inserito anche il nipote Gesualdo, condannato all’ergastolo. Il nome dell’anziano boss emerse anche nel processo per voto di scambio semplici a carico dell’ex Governatore Raffaele Lombardo. A farlo fu il collaboratore Ercole Iacona in passato vicino alla cosca di Caltanissetta “Maurizio La Rosa mi aveva detto che La Rocca teneva in mano il presidente Lombardo e lo giostrava come voleva lui, lo teneva in mano sua. Ciccio La Rocca aveva in mano mezza Sicilia e voleva riunire tutta la Sicilia”. Accuse sempre smentite dai legali di Raffaele Lombardo.