CATANIA – La sentenza resta pesante. Ma alcune condanne rispetto a quelle di primo grado sono state riformate al ribasso. E, inoltre, la Corte d’Appello di Catania ha deciso di assolvere due degli imputati del processo (stralcio abbreviato) Carthago 2, che nel 2017 ha innescato una bomba all’interno di Cosa nostra catanese.
La cupola
Alla sbarra i nomi di uomini d’onore, boss e gregari che hanno costituito la linea di comando della famiglia di Cosa nostra catanese negli ultimi 13 anni almeno. Daniele Nizza è l’uomo d’onore – ad esempio – che ha retto le fila, insieme a Orazio Magrì e Benedetto Cocimano, dopo il maxi blitz Summit dei Carabinieri che fermarono una riunione diretta da Santo La Causa nel 2009. E poi c’è Marcello Magrì, fratello di Orazio, che insieme a Rosario Lombardo (u rossu) ha coordinato gli affari di famiglia dopo l’arresto di Francesco Santapaola, figlio di Turi Colluccio (cugino del padrino Nitto). E poi ci sono due generazioni della famiglia di narcotrafficanti Nizza: Salvatore, con il figlio Dario e il nipote Natale (figlio di Giovanni ‘banana). Turi e Daniele sono i fratelli di Andrea, recluso al 41bis, e di Fabrizio, diventato collaboratore di giustizia.
Altro che domiciliari…
Il ‘cuore’ delle indagini sono state le intercettazioni a casa di Rosario Lombardo, che all’epoca delle indagini ha vissuto (scontando i domiciliari per motivi di salute) nella sua casa al viale Biagio Pecorino nel rione San Giorgio. Quell’abitazione è diventata il centro logistico del clan: summit, riunioni operative, incontri risolutivi, appuntamenti tra boss. Da qui hanno gestito il traffico di droga tra San Cristoforo e San Giovanni Galermo. Ma per pagare gli stipendi ci sono state le estorsioni. Gli investigatori sono riesciti ad entrare nel circuito chiuso dei telefoni civetta in cui è avvenuto lo scambio di sms per operare in più sicurezza. Ma il linguaggio in codice usato è stato decriptato.
Il pentito
E un ulteriore riscontro – per decodificare – è arrivato dalle dichiarazioni di Salvatore Bonanno, esattore del pizzo, che ha deciso di intraprendere il programma di protezione dei collaboratori di giustizia. In appello a rappresentare l’ accusa sono stati il sostituto procuratore generale Giuseppe Lombardo e il magistrato (applicato pg) Rocco Liguori, che ha coordinato l’inchiesta fin dal primo momento.
La sentenza in appello
Ecco tutte le condanne inflitte dalla Corte d’Appello di Catania, presieduta dal Carmen La Rosa. Massimo Amantea, 6 anni 4 mesi e 26 mila euro di multa, Pietro Arezzi, 9 anni e 4 mesi, Giuseppe Bellia, 9 anni e 4 mesi, Francesco Belviso, 18 anni (pena complessiva con riconoscimento della continuazione), il collaboratore Salvatore Bonanno, 3 anni e 1600 euro di multa, Giuseppe Boncaldo, 12 anni 8 mesi e 20 giorni (riconoscimento continuazione altre sentenze), Carlo Burrello, 9 anni e 4 mesi, Domenico Contarini, 3 anni, 8 mesi e 8.600 euro di multa, Rosario Lombardo, 20 anni complessivi con altre sentenze, Angelo Marcello Magrì, 20 anni (ritenuta la continuazione), Daniele Nizza, 20 anni complessivi di reclusione con altre sentenze, Dario Nizza, 9 anni e 4 mesi, Natale Nizza, 3 anni 10 mesi 20 giorni e 18 mila euro di multa, Salvatore Nizza, 11 anni 11 mesi e 20 giorni, Giuseppe Pastura, 9 anni e 8 mesi, Francesco Pinto, 9 anni e 8 mesi, Vito Romeo,10 anni e 7333 euro di multa, Francesco Santapaola, 14 anni, Raimondo Santonocito, 9 anni e 6 mesi (con riconoscimento della continuazione con altra sentenza), Giuseppe Scaletta, 9 anni (riconosciuta continuazione con altra sentenza) Francesco Scuderi, 10 anni e 8 mesi (riconosciuta continuazione), Salvatore Spampinato, 9 anni e 4 mesi, Domenico Damiano Stabile, 2 anni 8 mesi e 12 mila euro di multa, Giuseppe Vinciguerra, 9 anni e 4 mesi. Assolti Biagio Sapuppo e Vito Musumeci. Per quest’ultimo esprime soddisfazione il suo difensore, l’avvocato Maria Lucia D’Anna.