Marchese, il 'killer pentito'|E Totò Riina cominciò a tremare - Live Sicilia

Marchese, il ‘killer pentito’|E Totò Riina cominciò a tremare

I pentiti che misero in crisi Cosa nostra. Ecco le loro storie.
STORIE DI MAFIA
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La storia di Cosa nostra è un po’ anche la storia di vecchie famiglie che per decenni si sono tramandate il potere nelle borgate palermitane. Per tanti ragazzi cresciuti in quegli ambienti saturi di mafia è stato spesso un dovere (e un onore) seguire le orme del padre e interpretare come una missione il ruolo di custodi dei sacri valori familiari.

Mai i caporioni di allora avrebbero immaginato che un giorno si sarebbero trovati l’infamone in casa. Già, il pentito. E invece è successo: si sono spezzate antiche catene, sono avvenute miracolose conversioni, boss incalliti colpevoli dei peggiori crimini di punto in bianco hanno salutato allegramente la compagnia, e chi si è visto, si è visto.

Dalla metà degli anni Ottanta e per oltre un decennio, tanti mafiosi hanno voltato le spalle non solo al malaffare, non solo alle trame sanguinarie, ma anche ai genitori che li avevano trascinati nelle acque putride, nel letamaio mafioso esponendoli a mille pericoli, alla vergogna, alla galera, alle pallottole.

Si perdono nella memoria i nomi delle famiglie che una volta dominavano nei quartieri. Fecero epoca al maxiprocesso affollati nuclei familiari costretti dentro le gabbie dell’aula bunker. Gruppi interi, genitori, fratelli, cugini, nipoti. Tutti lì dentro, ammassati dietro le sbarre. I Greco erano dieci, i Marchese otto, i Vernengo sette, gli Spadaro sei, come i Tinnirello. I Ciulla erano cinque e pure i Fidanzati, quattro i Sinagra, i Grado, i Lo Iacono, i Teresi.

La storia dei pentiti, come si sa, comincia nel 1984 con Tommaso Buscetta ma per vedere una gola profonda tradire la famiglia di sangue bisogna aspettare Giuseppe Marchese, cinquanta volte killer, nipote di don Filippo detto milinciana, vecchio capocosca di corso dei Mille e fratello di Antonino, altro assassino a caccia di record. Pino Marchese era anche fratello di Vincenzina, la moglie di Leoluca Bagarella, corleonese con marchio di fabbrica.

Il suo pentimento fece clamore non solo perché fu il primo del fronte dei vincenti, ma anche perché il reticolo di parentele lo aveva portato a stretto contatto con i massimi vertici della mafia palermitana e corleonese. La sua dissociazione fu una tragedia, ebbe effetti devastanti nel clan di Totò Riina e forse il suicidio di Vincenzina Marchese fu l’estremo sacrificio di una donna che volle risparmiare alla famiglia e il tributo imposto dal rituale delle vendette trasversali.

Pino Marchese aprì le danze. Subito dopo, a ruota, lo seguirono Giuseppe e Pasquale Di Filippo, fuggiti da una famiglia di solide tradizioni mafiose. Pasquale aveva sposato Rosa Spadaro, la figlia di don Masino. Uno smacco per il re della Kalsa, piegato anche dal tradimento di Rosa, che dopo avere recitato il copione obbligato della pubblica abiura del marito traditore davanti alle telecamere, ci ripensò, prese i bambini e mollò tutto per ricomporre la famiglia.

Perfino Raffaele Ganci, il vecchio ras della Noce che stava nel cuore di Totò Riina, dovette assistere impotente alla tragedia di Calogero, il primogenito passato improvvisamente dalla parte dello Stato dopo mesi e mesi di vita in comune, nella stessa gabbia, al processo per la strage di Capaci.

La stessa sensazione di disorientamento e incredulità avrà provato un altro boss del vecchio ordine mafioso, Bernardo Brusca, felice di aver lasciato il mandamento in eredità a Giovannino, pronto a raccogliere il testimone dando prova di avere tutti i numeri per far felice papà e il suo alleato di sempre, Totò Riina. Sembrava destinato a diventare il generale del grande esercito mafioso, Brusca junior, ed era pure deciso a concedere i gradi di colonnello al fratello Enzo Emanuele. Ma dopo il loro arresto in contemporanea, Giovanni ed Enzo si fecero un po’ di conti. Erano attesi al varco da una valanga di ergastoli. Ci pensarono su: dobbiamo farci la galera a vita? Non sia mai. Meglio cantarsela. E pazienza che un così imprevedibile salto del fosso precipitasse il vecchio don Bernardo nel buio della depressione.

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