CATANIA – “Mi hanno messa di nuovo come ieri, mi hanno attaccato le flebo e basta, sto male”. Su una lettiga “accanto al gabinetto”, moribonda, dopo 48 ore di sofferenza, dopo essere stata rispedita a casa con codice verde una prima volta. A più di sei mesi dal decesso di Nina Zappalà, non è ancora arrivato il responso dell’autopsia. Nessuna certezza, i familiari sono sospesi nel limbo tra risposte che non arrivano e il dolore di una perdita incolmabile. Un caso sollevato da LiveSicilia.
L’ultimo selfie
Elisa Gangemi è la figlia di Nina Zappalà. Nel suo racconto parte dal selfie scattato quella sera d’aprile, una sera come mille altre. Era il giorno prima che tutto precipitasse. Elisa stringe forte il cellulare con quell’immagine, l’ultima che le resta della madre.
Lunga agonia
Poche ore dopo Nina inizia a stare male, molto male, chiama l’ambulanza e arriva nel pronto soccorso dell’ospedale Cannizzaro. Nessuno le pratica un tampone anticovid. Nel pomeriggio viene dimessa, i medici sono convinti che la signora abbia “attacchi di panico” e la rispediscono a casa.
Notte d’inferno
Nina non dorme, all’alba i figli chiamano un’ambulanza, che arriva senza medico a bordo. Inizia una nuova attesa, per un’ambulanza medicalizzata. Nina si ritrova nello stesso corridoio del pronto soccorso, su una lettiga, accanto al bagno.
Audio choc
“Mi hanno messa di nuovo come ieri, mi hanno attaccato le flebo e basta, sto male”. Sono queste le ultime parole di Nina. Poco dopo le praticano il tampone, ma è troppo tardi, tentano di trasferirla nel reparto covid. Ma perde la vita.
“Voglio giustizia”
“Vederla morire e non poter fare nulla, sentire che mi chiedeva aiuto e non poterla aiutare – dice la figlia inconsolabile – voglio risposte, adesso ho bisogno di risposte, ho bisogno che qualcuno mi dica com’è finita, quello che sarà domani, voglio sapere se ci sarà giustizia per quello che è successo a mia madre. Sono trascorsi 180 giorni dal conferimento dell’incarico per l’autopsia, non sappiamo alcunché”.