Quaranta minuti dopo le 17 il verdetto della Corte di Assise di appello spazza via l’ipotesi che ci fu una Trattativa fra la mafia e pezzi delle istituzioni con la complicità infamante dei carabinieri. I mafiosi minacciarono lo Stato prima con il medico di Totò Riina, Antonino Cinà, e poi fecero un secondo tentativo con Leoluca Baragella. I carabinieri, però, non si macchiarono di colpe. Il collegio presieduto da Angelo Pellino, a latere Vittorio Anania, condanna i boss Leoluca Bagarella (27 anni, uno in meno del primo grado) e Antonio Cinà (12 anni confermarti) e manda assolti gli ex ufficiali del Ros Mario Mori e Antonio Subranni, l’ex capitano del Reparto operativo speciale Giuseppe De Donno, e l’ex senatore di Fi Marcello Dell’Utri. Confermata la prescrizione per il collaboratore di giustizia Giovanni Brusca.
Ecco il testo del dispositivo: “In parziale riforma della sentenza emessa dalla Corte di assise di Palermo in data 20 aprile 2018 – si legge – assolve De Donno Giuseppe, Mori Mario e Subranni Antonio dalla residua imputazione a loro ascritta per il reato di cui al capo A, perché il fatto non costituisce reato”.
I dettagli della sentenza
“Dichiara – prosegue – non doversi procedere nei riguardi di Bagarella Leoluca Biagio, per il reato di cui al capo A, limitatamente alle condotte commesse in pregiudizio del governo presieduto da Silvio Berlusconi, previa riqualificazione del fatto come tentata minaccia pluriaggravata a corpo politico dello Stato, per essere il reato così riqualificato estinto per intervenuta prescrizione. E per l’effetto ridetermina la pena nei riguardi di Bagarella in anni 27 di reclusione. “Assolve Dell’Utri Marcello dalla residua imputazione per il reato di cui al capo A, come sopra riqualificato, per non avere commesso il fato e dichiara cessata l’efficacia della misura cautelare del divieto di espatrio già applicata nei suoi riguardi””.
Motivazioni entro novanta giorni
La Corte ha revocato le statuizioni civili nei riguardi degli imputati De Donno, Mori, Subranni e Dell’Utri e rideterminato in 5 milioni di euro l’importo complessivo del risarcimento dovuto alla Presidenza del Consiglio dei ministri. La Corte d’assise ha per il resto confermato “nel resto l’impugnata sentenza anche nei confronti di Giovanni Brusca e condanna gli imputati Bagarella e Cinà alla rifusione delle ulteriori spese processuali in favore delle parti civili (Presidenza del Consiglio dei ministri, presidenza della regione siciliana, cmune di Palermo, associazione tra familiari contro le mafie, centro Pio La Torre. La Corte ha fissato in 90 giorni il termine per il deposito delle motivazioni. La formula perché il fatto non costituisce reato nel caso dei carabinieri potrebbe significare, ma solo le motivazioni potranno fare chiarezza, che i militari entrarono in contatto con i mafiosi non per trattare ma nel contesto, da loro sempre sostenuto, di una legittima attività info-investigativa per arrivare alla cattura dei latitanti.