A Catania la scuola politica| dei centri antiviolenza - Live Sicilia

A Catania la scuola politica| dei centri antiviolenza

Una due giorni finalizzata a fare il punto sullo stato dell’arte delle realtà che da vent’anni e più seguono le donne vittime di maltrattamenti nel percorso di uscita dalla violenza, svolgono attività di consulenza psicologica e legale secondo l’ottica della differenza di genere.

 

CATANIA – La città etnea ospita la scuola politica della rete dei centri antiviolenza. “La nostra lettura della violenza maschile oggi” è il tema affrontato in occasione del secondo seminario di formazione rivolto alle operatrici dei settanta centri antiviolenza che fanno capo a D.i.Re (donne in rete contro la violenza). Una due giorni finalizzata a fare il punto sullo stato dell’arte delle realtà che da vent’anni e più seguono le donne vittime di maltrattamenti nel percorso di uscita dalla violenza, svolgono attività di consulenza psicologica e legale, gruppi di sostegno, formazione, promozione, sensibilizzazione e prevenzione secondo l’ottica della differenza di genere. “Siamo contentissime di ospitare a Catania l’associazione Dire per questo momento di formazione interno ai centri antiviolenza che nasce in un momento in cui si ridiscute di volenza maschile sulle donne, se ne parla tanto, c’è una grande attenzione anche da parte dei media, però forse quest’attenzione è canalizzata male”, spiega Loredana Piazza, presidente del centro Thamaia. “Dobbiamo ritirare la fila della questione andare all’origine e chiederci qual è la causa della violenza maschile contro le donne”, continua la presidente.

Il pensiero elaborato dal movimento delle donne in quest’ottica è centrale. Lo stesso vale per la “specificità” che caratterizza il lavoro dei centri non istituzionali e gestiti da associazioni di donne. “Bisogna ribadire la centralità del centro antiviolenza che è un luogo di libertà entro il quale la donna fa il suo percorso accompagnata da operatrici specializzate”, argomenta la presidente di D.i.Re, Titti Carrano. “Oggi assistiamo a una fase abbastanza pericolosa, c’è una forte pressione di istituzionalizzare i centri antiviolenza facendo venire meno l’origine e la storia dei centri perché si pensa che accogliere la donna possa essere uno strumento operativo”. “Dobbiamo, invece, riaffermare con forza che accogliere la donna che ha subito violenza non è un modello operativo, ma un percorso che si costruisce con lei mettendola sempre al centro”. Una visione diametralmente opposta a ciò che prevede il piano nazionale contro la violenza che “rappresenta lo stravolgimento” del pensiero e delle pratiche dei centri legati alla rete.

A questo si aggiungono numerose criticità legate alle difficoltà economiche che i centri incontrano quotidianamente. “C’è una mancanza di fondi cronica perché i centri sono lasciati a gestirsi con le proprie forze, qualcuno riesce a fare delle convenzioni con enti pubblici andando incontro a problemi come il condizionamento oppure si vive soltanto di progetti: una condizione difficile perché il centro per rimanere aperto deve affrontare delle spese vive non indifferenti”, spiega Carlotta Sartorio, esponente del Centro Antiviolenza Me.dea di Alessandria. Questi i temi al centro dei dibattiti tra le operatrici dei settanta centri antiviolenza che tra oggi e domani alterneranno momenti di confronto a momenti di approfondimento sul tema delle radici della violenza maschile contro le donne grazie ai contributi di storiche esponenti del movimento femminista come Antonella Picchio, Federica Giardini, Lea Melandri, Giuditta Creazzo, Carmen Marini e Giuliana Pincelli.

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