L'addio dell'uomo dei sogni - Live Sicilia

L’addio dell’uomo dei sogni

Fabrizio Miccoli saluta. Si chiude un ciclo. Cronaca di una serata di addii.

Il capitano rosanero
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PALERMO – Quando l’uomo dei sogni si avvicina, la curva ritrova la sua voce: “Fabrizio Miccoli, la la la!”. Non importa cosa ci sia dentro il grido, se nell’involucro dell’amore brilli una stella di latta, opaca, o una cometa splendente. Nel luogo in cui tutti torniamo piccoli, una curva di bambini, nonostante il dolore, acclama il bimbo prodigio rosanero: Miccoli Fabrizio dal Salento, il calciatore più forte che abbia mai giocato al ‘Barbera’. L’uomo dei sogni scarta, applaude, saltella. Va verso il serpentone e consegna il suo addio e le sue lacrime alle telecamere: “Io mi porto dentro tutto ciò che ho vissuto in questi anni bellissimi. L’emozione più bella è sicuramente quella vissuta nella finale di Coppa Italia contro l’Inter e la sfida Champions contro la Sampdoria, mentre il ricordo più brutto è di certo quello legato alla giornata di oggi”. Amen, titoli di coda.

Nel frattempo, sul prato, solo macerie rosanero messe lì a dimostrare quanto fosse improbabile la formazione allestita da Maurizio Zamparini. La scarsezza della squadra è stata aggravata da errori di gestione imperdonabili. Con un po’ più di lucidità, perfino questo sbrindellato equipaggio avrebbe raggiunto la salvezza. Il fallimento – reso più cocente, fino alla rimonta del Milan da un umiliante penultimo posto – è stato distillato, preparato e ottenuto con un dilettantismo imbarazzante che ha mortificato una tifoseria e una città.
Palermo-Parma, la gara più inutile e più beffarda. Eppure sembra quasi normale. C’è chi arriva in ritardo e corricchia verso l’ascensore. C’è chi si affanna sulle scale. Non c’è nulla da vedere, signore e signori. Non importa. Il riflesso infantile della corsa si unisce alla magia, alla calamita del prato. Impossibile non affrettarsi quando il pallone ti chiama da un luogo verde dell’anima.

Sugli spalti, i parenti della zita e i condolenti presenti al funerale. Le bancarelle di prodotti per aficionados si sono dimezzate. Il rosa non va più di moda, chissà tra un anno… L’aria funesta soffoca. Verrebbe di stringere il vicino di sedia e mormorarsi reciprocamente un sussurrato: “Condoglianze”. Strano popolo, i palermitani. La maggior parte si ripara dalle disillusioni con l’indifferenza. I pochi eroi qui per l’ultima di serie A sono un germe di rinascita. Non c’è speranza. E ci sono. Col cappellino, con la sciarpetta, con i fischi, coi battimani. Loro, comunque, ci sono. La partita che non conta e che non c’è narra in un condensato di emozioni un’intera disgraziata stagione. Alla latitanza di classe si aggiunge la solita sfiga monumentale. Mirante, buon guardapali emiliano, per una notte diventa il miglior portiere del mondo. In uno sproposito di occasioni toglie dalla rete gol già segnati, smorza le braccia al cielo in una mesta esultanza. Poi esce. Intanto, la solida armata di Donadoni, giocando un sostanzioso contropiede ha già infilato tre gol.

La ripresa esiste ancora di meno. E’ un’agonia interminabile corredata dai botti della Nord. Segue voce stentorea e puntigliosa dell’addetto che ammonisce contro l’uso delle esplosioni come resa sonora di uno stato di prostrazione. Seguono fischi. Segue la tristezza. Stop. Ti guardi intorno, in tribuna stampa, per scorgere gli amici di un coraggio vano. Benvenuto Caminiti, che mette il cuore oltre la penna, non c’è. Sta male. Soffre a casa. Giuseppe D’Agostino, la voce della passione più accesa, si infervora, sostiene, affronta il disastro con piglio da nocchiero.. Accanto, giornalisti di Parma azzimati e cortesi. Sorridono, perché possono sorridere. A un certo minuto cronometrato dal destino, sboccia una punizione dal limite. L’uomo dei sogni si accoccola sulla traiettoria. Colpo di velluto. Gol nel sette. Uno a tre.

Ti ricordi, come quando fece gol al catanese Polito dallo stesso punto, solo un po’ più lontano? E ti ricordi Cavani contro la Fiorentina, l’acrobazia al volo? E ti ricordi Guidolin che diventava paonazzo in conferenza stampa se le domande non gli garbavano? E ti ricordi quando pareva normale affrontare l’Inter di Mourinho ad armi pari? E quando con la Juve il Pollicino Tedesco andò a saltare, con enfasi da kamikaze, per contendere un cross al gigante Sissoko? E Brienza? E Cassani? E ti ricordi quando la serie A ci appariva eterna, incontrastata, bellissima?

C’era una voltA il Palermo. Io non dispero. Ho comprato un cappellino e ci ho scritto su la data di oggi. Lo porterò con me nel purgatorio. Lo nutrirò col mio sudore. Lo abbraccerò. Un giorno lo indosserò per il ritorno a casa. Ci saranno altri sogni, anime sperdute. Ci saranno altri uomini dei sogni su altri prati. Sempre con la stessa domanda per noi figli e bambini. Vuoi giocare con me?


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