Addio alla Tabella H | Storia di un paradosso - Live Sicilia

Addio alla Tabella H | Storia di un paradosso

Secondo il Commissario dello Stato, i contributi erogati a pioggia e senza alcuna istruttoria, minano i principi di uguaglianza e legalità. Un principio del resto già affermato da una sentenza della Consulta del 2009. Ma ai deputati, nella lunga notta della Finanziaria, deve essere sfuggito.

 

PALERMO – Il Commissario dello Stato getta nel cestino la Tabella H. E fa felici i deputati regionali, che pochi giorni fa l’avevano approvata. Già, perché la storia recente dell’elenco dei contributi a enti e associazioni è la storia di un paradosso. La storia di una schizofrenia tutta sicula. La Tabella, infatti, stando alla sfilza di interventi che si sono susseguiti nella lunga notte della Finanziaria (che a quel punto, a dire il vero, era già diventata mattina), era, giusto per fare qualche esempio, “uno scandalo”, “uno schifo”, “un retaggio della vecchia politica”, “un’ingiustizia”. Qualcosa da eliminare, da abbattere. Persino per quel gruppo parlamentare che aveva chiesto di rimpinguarne gli stanziamenti: il Movimento cinque stelle. Insomma, il Commissario accontenta tanti onorevoli. Persino quelli che dal pulpito hanno detto di “no”, e dai banchi hanno premuto il “sì”.

Resta il fatto che l’impugnativa di Aronica rappresenta un momento a suo modo storico. Una svolta “culturale”. Ancor più decisiva perché in netta controtendenza con gli anni passati. Anni in cui i criteri per la distribuzione dei fondi erano stati più o meno gli stessi, così come gli sponsor politici degli enti, e così come il Commissario, sempre Aronica.

Tant’è. Meglio tardi che mai, direbbe qualcuno. E in effetti, il fatto che nulla di nuovo si trovasse quest’anno sotto il sole, è messo nero su bianco dallo stesso Carmelo Aronica: “A fronte di una legislazione ordinaria e di principio che prevede l’ammissione a contributi pubblici di tutti i soggetti pubblici e privati su un piano di parità per il mantenimento e l’esercizio di attività di rilevante interesse culturale e sociale fruibili dalla collettività, – scrive il Commissario – l’Assemblea regionale interviene nuovamente con un provvedimento ad hoc destinato esclusivamente a determinate istituzioni, da anni fruitrici di provvidenze pubbliche senza ancorare la scelta operata a precisi e confacenti parametri di comparazione e valutazione”.

In quel “nuovamente”, insomma, c’è il riconoscimento di un malcostume cronico. Di abitudini antiche, oltre che cattive. Nonostante buone, anzi ottime fossero le finalità dell’azione di molte di queste associazioni. Ma in molti casi, secondo il Commissario, a essere stato violato è il principio di eguaglianza sancito dalla Costituzione. Un principio che “esige – scrive Aronica – che le leggi singolari, come la norma in esame, corrispondano ad obiettive diversità delle condizioni considerate rispetto a quelle di enti similari, che giustifichino razionalmente ed obiettivamente la disciplina di privilegio adottata. Ove sussistono situazioni omogenee rispetto a quelle singolarmente considerate – prosegue Aronica – si incorre nella violazione del principio di eguaglianza perché si determinano ingiustificate posizioni di vantaggio per le istituzioni beneficiarie della norma rispetto a quelle escluse”. Insomma, sono comprensibili gli interventi pubblici che consentano a enti in qualche modo “svantaggiati” di colmare il gap con altri che svolgono le stesse funzioni. Non, invece, quei contributi che consentano ad alcuni soggetti di “avvantaggiarsi” rispetto ad altri.

“Se non sono contestabili la valenza ed il rilievo, anche a livello ultra regionale, di talune associazioni e fondazioni destinatarie dei contributi, – precisa infatti Aronica – ciò che costituisce motivo di censura è l’omessa valutazione e comparazione delle loro situazioni con quelle delle altre istituzioni operanti in medesimi settori in Sicilia. Detto esame comparativo avrebbe potuto (e dovuto) essere effettuato mediante una esaustiva istruttoria amministrativa operata dalla competente Commissione legislativa prima dell’adozione della legge dalla cui conclusione potesse emergere una obiettiva diversità di condizioni che giustificasse la scelta operata dal legislatore in favore dei 135 enti in questione con esclusione degli altri casi cui lo stesso trattamento avrebbe potuto estendersi”.

E il richiamo al lavoro in Commissione legislativa, in effetti, punta i riflettori su un’altra delle peculiarità insite nella “Tabella H”. L’unico provvedimento che non abbia avuto un passaggio dalle Commissioni di merito. Ma che si è “incarnato” nei colloqui più o meno ufficiali avvenuti in questa o questa sala di Palazzo dei Normanni. “Fino alla mezzanotte – racconta Girolamo Fazio, uno dei deputati che ha apertamente contestato la Tabella H anche uscendo dall’Aula per protesta – la Finanziaria, tranne che in rarissimi casi, non era stata contaminata da forme antiche di clientelismo e di favori. Poi, è cambiato tutto”. Alla mezzanotte, insomma, la “carrozza” della Finanziaria regionale è diventata zucca. Tra le urla presto smorzate, dei due presidenti: quello dell’Ars e quello della Regione. Il primo pronto a denunciare la presenza del governatore a strane riunioni notturne sulla Tabella H. Il secondo a rispondere indispettito, lavandosi le mani di fronte a quella che sarebbe comunque rimasto “un problema dei deputati”.

E l’Assemblea, tra l’altro, secondo il Commissario, “non ha tenuto nella debita considerazione la circostanza che le istituzioni in argomento potrebbero essere già destinatarie di provvidenze erogate da altri soggetti pubblici e ciò al fine di garantire non solo la ‘par condicio’ tra i vari enti ed associazioni ma anche l’ottimale utilizzazione delle risorse, peraltro esigue, destinate a garantire il soddisfacimento dei bisogni della collettività in ambito socio culturale”.

Manca, insomma, quella benedetta istruttoria. “La disposizione impugnata, – scrive inoltre Aronica – che si connota come legge-provvedimento, in quanto incide su un numero determinato benché elevato di destinatari ed ha contenuto particolare e concreto attribuendo a ben precisi soggetti collettivi sovvenzioni in denaro, deve essere soggetta ad un scrutinio stretto di costituzionalità sotto il profilo della non arbitrarietà e non irragionevolezza della scelta del legislatore. Lo stesso legislatore, quando emette leggi a contenuto provvedimentale, – aggiunge Aronica – deve applicare con particolare rigore il canone della ragionevolezza (sentenza n. 137/2009) affinché il ricorso a detto tipo di provvedimento non si risolva in una modalità per aggirare i principi di eguaglianza ed imparzialità”.

Principi, quelli dell’uguaglianza e della legalità, di cui non si troverebbe traccia nella norma approvata dall’Assemblea: “Né dal testo della norma, che contiene con il rinvio all’allegato 2 un mero elenco di destinatari e di importi ripartiti, – scrive Aronica – né dai lavori preparatori della legge, come prima prospettato, emerge la ratio giustificatrice di ogni caso concreto non risultando pertanto che l’Assemblea regionale abbia osservato criteri obiettivi e trasparenti nella scelta dei beneficiari dei contributi. La norma, secondo quanto affermato da codesta Corte su un caso similare deciso con sentenza n. 137 del 2009, si risolve ‘in un percorso privilegiato per la distribuzione di contributi in denaro, con prevalenza degli interessi di taluni soggetti collettivi rispetto a quelli, parimenti meritevoli di tutela, di altri enti esclusi, ed a scapito quindi dell’interesse generale’”. E il riferimento alla sentenza del 2009, in effetti, aggiunge un elemento di paradosso, alla paradossale storia della “Tabella H”. Quella sentenza era nota ai tanti addetti ai lavori. Ed è stata non a caso rilanciata da Legambiente, pochi giorni dopo. Ma ai deputati regionali, in quella lunga notte della Finanziaria, deve essere sfuggito.


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