Addiopizzo adesso si racconta: | "I nostri anni di lotta in trincea" - Live Sicilia

Addiopizzo adesso si racconta: | “I nostri anni di lotta in trincea”

Il comitato Addiopizzo racconta se stesso. Sette anni di attività riassunti in un post pubblicato oggi su Rosalio. Un excursus denso di spiegazioni e chiarimenti. Né manca la polemica...
La polemica sul caso Grasso
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In questo periodo dell’anno, sette anni fa, un po’ timorosi consegnavamo a una tipografia della città il file dell’adesivo attaccando il quale sarebbe poi cominciata tutta la storia che, bene o male, ormai è nota. Non avevamo idea di quello che sarebbe accaduto. E forse era questa grande incognita la vera ragione delle nostre paure. Ma l’abbiamo fatto, perché ci sembrava giusto farlo.

Gli obiettivi che abbiamo raggiunto, grandi o piccoli che siano, sono noti. Un po’ meno è nota la fatica costata a noi e a tutti i nostri compagni di strada, all’intero movimento che organizziamo e contribuiamo ad animare. Un’incalcolabile mole di tempo ed energie sottratte alle nostre normalissime vite: banche spesso disumane, burocrazia macchinosa e lenta, l’amministrazione della città sostanzialmente assente, un lungo periodo in cui abbiamo patito la diffidenza delle grosse associazioni di categoria (spesso sconfinata in tacita ostilità), una politica senza visione e parolaia, una cronica mancanza di fondi, la perdurante indifferenza di una gran parte della cittadinanza, semplicemente silenziosa.

E poi, naturalmente, la mafia. Fiumi di colla, un’offensiva diffusa e perdurante fatta di piccoli danneggiamenti e guerriglia psicologica: un grosso incendio, un motorino bruciato davanti a un bar, pistolettate contro le vetrine, una bomba molotov gettata in pieno giorno in un supermercato, aggressioni per strada, verbali e fisiche. Eppure non ci siamo mai fermati. Il nostro Comitato e l’intero movimento, variegato, socialmente e culturalmente trasversale, nel suo complesso tira dritto per la sua strada. Alcune cose fatte sono risultate esemplari, solide e durature, altre promettenti ma fragili, alcune puramente simboliche, altre ancora estremamente concrete ma molto circoscritte, alcune un po’ mediocri, alcune probabilmente semplicemente velleitarie.

Mancano venti giorni da quando sette anni fa Palermo lesse lungo le sue strade che “Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”. Tra non molto, quindi, creeremo l’occasione per ringraziare per l’ennesima volta tutti quelli che in questi anni, via via, hanno percorso fianco a fianco a noi la strada che ci permette di restare in Movimento, a provare quel che ci sembra giusto, a fare quel che possiamo. Detto tutto ciò, vorremmo ricordare a questa città che – in generale – chi può esser sicuro di non fare mai errori è solo colui che sta fermo a guardare, a giudicare.

A noi stessi e a chi ci segue, ci stima e confida nella nostra buona fede, vorremmo ricordare che tra gli “sport” preferiti di certi siciliani (e di certi italiani) c’è quello di dar addosso a chi, bene o male, qualcosa di positivo e concreto la fa. È la maniera emotivamente e intellettualmente più semplice per dire che sotto sotto tutto fa schifo, che ciò che appare apprezzabile in realtà è solo bel parlare e arrivismo sociale, una maniera per presentarsi bene e di fatto far solo soldi, a scapito di una forza lavoro fatta da ragazzi in buona fede ma incredibilmente ingenua. Una maniera per rendere sopportabile a se stessi la propria inerme e immobile rabbia. C’è un diffuso abito mentale che spinge a distillare poco alla volta maldicenze, insinuazioni, dicerie, che scorrono come un fiume carsico fin quando non trovano l’occasione propizia per emergere e manifestarsi sotto forma di violenti attacchi, apparentemente argomentati. E allora si diffonde la voce che in realtà molti di quelli che sono nella lista di Addiopizzo in realtà pagano: «L’ho saputo da un amico di cui mi fido, ma di cui non posso farti il nome». Noi cerchiamo di vigilare sempre, non solo al momento dell’adesione. Quando ci vengono forniti o raccogliamo elementi concreti, non ci tiriamo indietro. Crediamo di averne dato prova con l’esemplare e fragorosa espulsione dell’Adelia Venusta, il cui titolare ed alcuni suoi dipendenti si sono ritrovati successivamente coinvolti in un’indagine di mafia per intestazione fittizia.

Poi ci sono quelli che dicono che è solo una questione di soldi, che in realtà Addiopizzo è fatta da un gran numero di ingenui ragazzi abbindolati da astuti avvocati e professionisti dell’antimafia, che hanno usurpato i fondatori del movimento e il suo originario spirito. Falsità! Non fosse altro che i presunti cinici farabutti sono tra i fondatori del movimento che con esso, in modo paritetico, prendono le decisioni.

Il denaro. Quale? Ci è stato approvato un significativo finanziamento attraverso il PON Sicurezza di cui abbiamo già dato comunicazione pubblica. Quando finalmente ci saranno erogati i soldi, renderemo conto pubblicamente di come li spenderemo.

«E quelli dei processi, allora?». Ad oggi sono 37 i processi in cui ci siamo costituiti parte civile. Un milione di euro la somma complessiva riconosciuta al nostro Comitato dai giudici della nostra città, a titolo di risarcimento del danno nei vari processi penali in cui l’associazione è stata ammessa come parte civile a fianco dei commercianti e degli imprenditori assistiti dai componenti del Comitato durante la delicata fase della denuncia. Queste somme sono state riconosciute proprio perché i giudici hanno capito che un’associazione che opera nel territorio come la nostra, che si sta radicando nel tessuto sociale di Palermo, che con continuità ed efficacia produce fatti processuali, subisce un danno ai propri interessi causato dal sistematico taglieggiamento delle imprese da parte di Cosa Nostra, nello stesso territorio in cui la stessa associazione si spende per la salvaguardia della libertà d’impresa.

Peccato che una recente legge, cambiando il sistema precedente, ha impedito agli enti costituiti parti civili nei processi di mafia di accedere al Fondo Nazionale di Rotazione per il recupero delle somme riconosciute dai giudici! Fondo Nazionale che, rivalendosi successivamente sui beni confiscati ai mafiosi, recuperava quelle somme anticipate alle vittime di mafia. L’unica somma che il Comitato è riuscito a recuperare dal Fondo è quella di 10 mila euro riconosciuta in un processo penale a carico di mafiosi di San Lorenzo e Carini. Questa somma non è neanche bastata per stampare le decine di migliaia di guide del consumo critico, che ad oggi vedono quasi 700 operatori economici che ci hanno dimostrato fiducia.

«E i soldi agli avvocati?». I soci dell’associazione che in veste di avvocati ci difendono nei vari processi di mafia, ricevono dai giudici un compenso per il lavoro svolto. Questo compenso è stabilito dai vari giudici sulla base di tariffe professionali. Più trasparente di così!

Gli avvocati dei mafiosi, giustamente, percepiscono la loro parcella anche se perdono il processo. I nostri avvocati no. Se un imputato di estorsione o di mafia contro il quale ci siamo costituiti parte civile viene assolto, i nostri legali non vedono un centesimo. Sia perché le associazioni che rappresentano non hanno i soldi per pagarli, ma soprattutto perché fanno il loro lavoro perché credono nella causa per la quale si spendono insieme a tutti gli altri soci dell’associazione.

Per rendere limpidamente e pubblicamente riconoscibile lo spirito con il quale agiamo, dalla primavera del 2010 il Comitato Addiopizzo e Libero Futuro hanno preso all’unanimità la decisione di non costituirsi nei processi in cui tra le persone offese non figurino commercianti che abbiamo assistito in sede di indagini e che, aderendo alle idee e all’azione delle nostre associazioni, hanno scelto di denunciare o collaborare attivamente con gli inquirenti. Formalmente il giudice accetterebbe la nostra eventuale richiesta di parte civile, ma noi miriamo a dare una legittimazione sostanziale derivante da un effettivo lavoro fatto nella società al fianco di chi vuol denunciare. Basterebbe il nostro statuto e sarebbe comunque una scelta legittima, come legittima è la scelta di quelle associazioni di categoria, antimafia e antiracket, che si costituiscono anche se non ci sono persone offese costituitesi parte civile.

Il risultato di queste scelte da apprezzare e da condividere, invece, qual è? Il risultato è che i nostri “soci-avvocati” vengono additati come arrivisti e come professionisti dell’antimafia: tutto il resto non importa. Cos’è quest’atteggiamento se non malafede?

Ultimamente tutta questa malafede ha avuto l’opportunità di esprimersi e – allo stesso tempo celarsi – in occasione della polemica che purtroppo c’è stata tra noi e la signora Valeria Grasso. La signora ha coraggiosamente denunciato e fatto arrestare i suoi estortori. Noi l’abbiamo assistita in più modi per diversi mesi, come abbiamo avuto modo di spiegare in questo nostro stesso sito alcuni mesi fa. A un certo punto però la signora Grasso si è sentita mollata, abbandonata. Noi, in coscienza, riteniamo di aver fatto tutto quello che era alla nostra portata. La signora si aspettava di più. Forse ci ha sopravvalutato e, esasperata dalle lentezze burocratiche e da una contingenza economica obiettivamente molto critica, vedendo che non le veniva riconosciuto da più parti quanto le era dovuto, si è sentita abbandonata. Anche da chi, come noi, ha fatto quel che poteva.

La signora Grasso si è spiegata il nostro comportamento pensando che per noi fosse un problema il fatto che ad aiutarla ci fossero anche dei politici, come Sonia Alfano. Della signora Alfano, del suo operato e della sua storia non abbiamo assolutamente niente da ridire, tutt’altro. Ma sta di fatto che non siamo riusciti a far capire alla signora Grasso che la sua spiegazione del nostro comportamento non ha niente a che vedere con la politica. Forse è questo il nostro unico errore. Per tutto il resto abbiamo fatto tutto ciò che potevamo. Semplicemente e drammaticamente non è bastato.

Qualche tempo fa, interpellati ufficialmente dal Prefetto Caruso, considerato peraltro che come associazioni siamo iscritti all’albo prefettizio ex Decreto 220/2007, abbiamo espresso l’opinione che la signora necessitasse almeno di un sistema di vigilanza dinamica. Per un certo periodo è stata questa la tutela che le autorità preposte hanno ritenuto di disporre. Poi, evidentemente la situazione è precipitata, non sappiamo come e quando. Oggi purtroppo la signora Grasso e i suoi figli sono costretti a vivere in una località segreta. In tutti questi anni è la prima volta che succede. Nel peggiore dei casi alcuni degli imprenditori denuncianti (una esigua parte di quelli che hanno denunciato) vivono sotto scorta, ma continuano a vivere e lavorare a Palermo. Noi abbiamo piena fiducia nella magistratura e negli inquirenti. Pertanto confidiamo che la signora possa tornare a Palermo quanto prima.

Fino ad ora non lo abbiamo detto, perché temevamo che alla signora Valeria Grasso sarebbe suonato ipocrita, perché sappiamo che ci serba del rancore e perché vedere precipitare la situazione da una vigilanza mobile al programma di protezione ci ha atterrito. Ora basta! Accettiamo le critiche di Valeria Grasso, ma di tutti gli altri, francamente, siamo stanchi. Soprattutto perché mettono seriamente a rischio alcuni di noi. Attaccare violentemente alcuni di noi, facendo nomi e cognomi, è molto rischioso. Dà alla mafia obiettivi chiari da attaccare. Accettiamo le critiche, ma per il rispetto che crediamo che meriti tutto quello che abbiamo fatto sin qui, pretendiamo che siano fatte con spirito costruttivo.

Con Valeria Grasso abbiamo fatto tutto ciò che potevamo, non si possono criticare i limiti con furia distruttiva. Dal 2007 a oggi, in un modo o nell’altro, fuori o dentro i processi, abbiamo assistito e aiutato 300 concittadini che hanno subito danneggiamenti, intimidazioni, richieste estorsive e una miriade di fatti delittuosi riconducibili alla criminalità organizzata. Abbiamo enorme rispetto della pluralità delle opinioni, ma crediamo di meritare rispetto e pretendiamo solo critiche costruttive che ascolteremo e prenderemo in considerazione. Dopodiché opereremo e di nuovo ciascuno si farà la propria legittima opinione.

Comitato Addiopizzo


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