"Agata esempio |per le donne di oggi" - Live Sicilia

“Agata esempio |per le donne di oggi”

Gaetano Zito, preside dello Studio teologico San Paolo, parla, sì, da storico,  ma anche da uomo di fede. Segui #LiveSAgata

CATANIA – “Non sappiamo nulla sulle generalità di Agata. Dal punto di vista storico ci restano soltanto due testimonianze: il racconto fissato negli atti della passione e l’immediata diffusione del culto agatino”. Gaetano Zito, monsignore e storico di professione, fissa due elementi assolutamente certi per investigare sul vissuto della patrona di Catania. Insomma, di lei non troveremo mai la carta d’identità. Non fosse altro perché, negli anni dell’impero di Roma, era uno strumento non ancora in circolazione. Non abbiamo neanche alcuna foto che la ritrae mentre piange o ride. Abbiamo invece il corpo e una lunghissima tradizione che ne tiene vivo il racconto. Il resto è affidato alle scienze storiche e ai suoi risultati.

E allora, professore, chi era davvero Agata, una donna, una bambina, un personaggio influente o dalla vita riservata, la ricerca cosa ci dice?

“Sappiamo che la comunità cristiana di Catania subisce la persecuzione nel 251, a seguito dell’editto di Decio che impone a tutti i cittadini dell’Impero di sacrificare agli dei. Chi non lo faceva era considerato un nemico e condannato a morte. Questo per i cristiani fu un serio problema. Alcuni di loro passarono alla storia come lapsi, coloro cioé che per scampare alla morte sacrificano fittiziamente, oppure comprano i cosiddetti libelli che attestano i sacrifici. Altri, invece, accettarono il martirio. E tra costoro vi fu una ragazza diventata poi simbolo di quella tragedia”.

Nel dettaglio, quindi?

“Di Agata possiamo supporre che fosse una giovane donna, anche se non ne sappiamo l’età esatta. Probabilmente fu sotto i vent’anni. Sappiamo, invece, dai racconti della passione, che ebbe una coraggio virile. Non fu una ragazzina timorosa, ma una persona dalla chiara coscienza sia di cristiana che di donna. Talmente chiara da non venir meno alla prova della testimonianza”.

Quello di Agata è un femminicidio ante litteram?

“No, credo proprio di no. La sua è una vicenda che accomuna tante donne cristiane di allora. Agata non muore per un odio, cosiddetto, di genere. C’è la scelta, invece, di mandarla a morte a causa della sua pervicacia e del suo coraggio. Questo sì ”.

Il messaggio di Agata alle donne di oggi, cristiane o no, qual è?

“Credo che oggi sia urgente recuperare la peculiarità al femminile del suo esempio. Appunto perché le donne di Catania, al di là della loro fede, hanno bisogno di quel coraggio virile a cui accennavo. É necessario, soprattutto da parte loro, scommettersi totalmente in favore della propria città. Agata restituisce alle donne una provocazione in favore del bene comune e della solidarietà”.

Parliamo dunque di una modello femminile pre-femminista?

“Indubbiamente, sì. Agata non va guardata, quasi in maniera oleografica, solo due volte l’anno. È un modello che va mangiato e digerito quotidianamente. Sono convinto che la devozione agatina può assurgere ancora a vero modello civile. Un esempio che a sua volta prende le mosse a partire dalla dignità cristiana. Leggendo le cronache dei dialoghi tra Agata e Quinziano, escono due modelli al femminile irriducibili tra loro. La donna cristiana che, nell’essere serva di Dio, è regina. E quella romana, oggetto di piacere che risponde alle sole esigenze dell’uomo. Afrodisia è il campione di quest’idea”.

Quanto c’è di vero, a livello storico, negli atti della passione?

“La passio non è il resoconto stenografico di quello che è accaduto,teniamolo sempre in considerazione. La sua finalità originale è pedagogica. Quel testo fu redatto per tenere viva la memoria di coloro che hanno subito il martirio in maniera emblematica. Io credo che nel racconto della passione ci sia un nucleo originale, che ci dice del coraggio agatino in quanto donna e cristiana. Attorno a questo nucleo, la comunità cristiana ha sentito, poi, l’esigenza di aggiungere altri elementi che hanno una valenza sicuramente catechetica”.

La festa è snodo tra più modi di intendere Catania: santa, pagana, “mafiosa” e popolare. Tale congestione appartiene solo a quest’epoca o ci sono delle costanti?

“Dobbiamo recuperare ancora molti aspetti della storia del vero culto agatino. C’è una espressione che mi lascia francamente perplesso. Quando si dice, cioè, che ‘si è fatto sempre così’. Ma da quando, mi chiedo io. La storia ci dice che ci sono stati tantissimi cambiamenti. Basti pensare nel solo snodo tra ‘800 e ‘900. Non c’è più il palio, ad esempio. Mentre, fino al 1874-75, era il sindaco di Catania a invitare il vescovo alla festa. E non il contrario. È Dusmet a interrompere questa tradizione. Un anno arrivò, addirittura, a minacciare di non accettare i soldi dal Comune, pur di accentuare l’autonomia ecclesiale”.

Ed oggi?

“Da alcuni anni assistiamo ad un processo di riqualificazione cristiana della festa. Indubbiamente. Il punto di non ritorno è stato lo scorso anno, passato da un programma delle comunicazioni che ci ha permesso di veicolare alcuni spunti di riflessione più strettamente religiosi. Ovviamente, facendo leva sulla grande lezione di Paolo VI, la religiosità popolare non è necessario abolirla, ma bisogna riempirle di vangelo. A noi, come Chiesa, non interessa che quella di sant’Agata sia dunque la prima festa al mondo. Noi puntiamo ad altro, a riproporre, cioè, il modello della pasqua”.

Qual è, secondo lei, una delle anomalie, se c’è, della tre giorni agatina?

“C’è ancora tanto da correggere, ovvio. Ma andremo avanti su questa linea. Intanto, però, possiamo riflettere, già da quest’anno, sulla processione del 3, meglio conosciuta come ‘a carrozza do Senato. Il senso di questa manifestazione è dato dall’offerta che la città fa a san Agata, per ringraziarla, per onorarla. È un evento religioso e si deve concludere secondo crismi religiosi. Non ha senso poi che tra il vescovo e le autorità ci sia una distanza di almeno cento metri. Non ha neanche senso che questa processione diventi il luogo di una passeggiata cavalleresca, dove ognuno sfila bardato senza capirne il perché”.

Denuncia, quindi, un vuoto?

“È la città che offre la cera alla patrona. Ha senso quindi che tutti portino il loro omaggio. Non lo ha, invece, che la stessa cosa si ripeta nei giorni successivi, come invece accade abitualmente”.

Fuori da Catania, qual è il valore di Agata per l’intera cristianità?

“Inserendo il nome di Agata nel canone romano, papa Gregorio Magno l’ha innalzata a modello femminile per tutti. Di recente, ho ritrovato il culto agatino in Lettonia. Durante il 5 febbraio, lì avviene la benedizione dell’acqua e del pane. E le mamme, poi, cuciono un pezzetto di pane benedetto nel risvolto della camicia dei figli che partono per il servizio militare, affinché siano protetti dal fuoco dei nemici. Insomma, Agata è un modello di dignità per chiunque l’abbia incontrata”.


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