Neppure i parenti dei mafiosi votarono per Antonello Antonoro. Quegli stessi mafiosi che, secondo l’accusa, sarebbero scesi a patti con il politico accusato di voto di scambio. L’allora deputato regionale e oggi parlamentare europeo avrebbe pagato 3.000 euro in cambio di un pacchetto di 60 preferenze. Sono due i pentiti che accusano Antinoro: Manuel Pasta e Michele Visita. Proprio la moglie di Visita, ha spiegato il legale della difesa, l’avvocato Massimo Motisi, non si presentò al seggio. Lo dimostrano i documenti elettorali. “Nelle intercettazioni si parla di voti da raccattare tra i familiari – ha aggiunto Motisi -, due, tre o quatto preferenze. E’ questo il metodo mafioso per la raccolta dei voti su cui si fonda l’accusa di 416 bis? Se avessimo letto tutte le intercettazioni avremmo avuto un pronunciamento più serio prima, quando si svolse il processo in abbreviato”.
Il riferimento è all’udienza preliminare in cui Antinoro fu rinviato a giudizio. La difesa è certa di avere smentito Visita che sarebbe caduto più volte in contraddizione. Fu Visita a raccontare di aver partecipato ad una riunione elettorale a casa di un medico, Domenico Galati, alla quale sarebbe stato presente anche Antinoro. Proprio a casa di Galati ci sarebbe stato l’accordo con i mafiosi e poi, in un incontro successivo, lo scambio della mazzetta per ottenere voti. Nulla di più falso, secondo la difesa: “Galati invitò Antinoro ad una riunione con dei pazienti. Come poteva sapere Antinoro che si trattasse di mafiosi? Tre testimoni hanno riferito che nel corso della riunione si parlò di politica, di elezioni, e questioni di marciapiedi da riparare, ma mai né di mafia né di compravendita di voti. Fu Pizzuto che propose un’affissione straordinaria di manifesti quando ormai Antinoro era già andato via. Manifesti che successivamente Antinoro fece avere a Galati”. Una tesi in linea con quanto ha sempre sostenuto Antinoro secondo cui, il pagamento era solo per l’attacchinaggio durante la campagna elettorale.
Ed ancora: “E vero, nelle intercettazioni si parla di 50 euro a voto – ha concluso il legale – Gli intercettati, però, fanno riferimento, e lo dicono chiaramente, ad una “convenzione dei partiti” per cui a ogni candidato spettavano 50 euro a preferenza ottenuta”. Ignoranza degli intercettati sui rimborsi elettorali, nulla di più. Il 16 dicembre la sentenza. L’accusa ha chiesto la condanna a otto anni di carcere al termine della requisitoria dei pm Gaetano Paci e Lia Sava.