Balconi, estati e vecchie foto | Il mondo perduto di Antonio - Live Sicilia

Balconi, estati e vecchie foto | Il mondo perduto di Antonio

In memoria del maresciallo dei carabinieri palermitano Antonio Taibi (nella foto), assassinato un anno fa.

Dal sesto piano della scala B di piazza Europa tredici si scorgeva un campo di calcio, fino a quando non venne eretta la chiesa. Le chiome dei campioncini di strada degli anni Settanta e Ottanta splendevano al sole. Giuseppe era un centravanti inarrestabile. Marco, un portiere di fortuna, scarso, ma coraggioso. Rinverdivano i miti di una serie A che non era ancora Tim. Paolo Rossi era un ragazzo come noi. Per i primi gol si doveva aspettare Paolo Valenti con Novantesimo minuto.

Ripensando alla piazza, all’infanzia, a un’età completamente felice perché intessuta di illusione, ripensi ad Antonio. Che proteggeva i più deboli. Che era generoso con tutti. Che non poteva sapere che sarebbe morto ammazzato.

Un anno meno cinque giorni fa, il maresciallo Antonio Taibi, un valoroso palermitano, ha perso la vita a 47 anni, ucciso per vendetta – a Carrara, in Toscana – dal padre di uno che aveva arrestato, rendendo onore al suo dovere di carabiniere gentile. Ha lasciato una moglie e due figli. In tanti lo hanno pianto, lo piangono e lo piangeranno, avendolo conosciuto, perché era impossibile non amare la sua rettitudine. La donna con cui condivideva il viaggio lo piange in perdita di qualcosa di unico. I suoi figli piangono il padre dolce e dal pronto esempio che era. Noi, che siamo stati bambini insieme a piazza Europa, lo piangiamo come si piange un grande e indimenticabile libro che abbiamo letto fin dalla pagina iniziale e che ci è stato strappato via da un colpo di vento.

Al sesto piano della scala B di piazza Europa tredici c’erano un professore, un maresciallo dei carabinieri – l’Arma componeva un destino trascorso e futuro, per il carabiniere che c’era già e per il ragazzo che lo sarebbe diventato – e un maresciallo della guardia di finanza, con le loro famiglie. Il professore insegnava italiano e latino al liceo, era un uomo buono e taciturno. Il maresciallo della finanza scoccava lampeggianti sorrisi che brillavano dietro l’aplomb di tutore dell’ordine. Il maresciallo dei carabinieri aveva un cane, il barboncino Dick che si era perso ma era riuscito a tornare a casa, dopo peripezie, avventure e imprese, da una terra lontana. Per questo erano finiti entrambi – il maresciallo e Dick – da Mike Bongiorno, a raccontare la storia.

La famiglia Taibi abitava ai piani bassi dell’altra scala. Carlo, il papà, era una persona onesta che si impegnava per garantire pane e istruzione ai figli. Maria era una di quelle signore siciliane che reggono tutto il peso del mondo sulle spalle e riescono ad andare avanti, un minuto dopo l’altro. Nicola era altissimo. Roberto era minuscolo, oggi è un gigante. Giovanni rideva e ti contagiava. Fabio era timido. Antonio, in una foto ricordo, ha lo sguardo incantato di chi crede che la vita non debba staccarsi mai dall’amore che la protegge. I suoi occhi azzurri si notano a colori, anche se la fotografia è in bianco e nero.

Antonio, già a quindici anni, era un meraviglioso carabiniere. Sorvegliava i confini della piazza e se qualcuno, loscamente, ne oltrepassava il limite per arrecare turbamento alla comunità, lui lo pizzicava e lo invitava a uscire, con le buone. Oppure con le cattive.

Erano un’unica e ramificata famiglia le famiglie di piazza Europa tredici. Allora, tra gli esseri umani, si usava comunicare corpo a corpo, voce a voce, non sulle bacheche: guardarsi in faccia, parlarsi, sfiorarsi, essere carne che incontra altra carne, con l’invenzione di un’anima. In certe sere d’estate, vigeva la consuetudine della passeggiata. Si scendeva, dopo cena, a chiacchierare, favoriti dalla configurazione della piazza che è la metafora di un’isola. Carlo parlottava con Antonino, il professore. Claudio e Annamaria incedevano a braccetto. Gioacchino, Anna e le loro bellissime figlie portavano a spasso Tuffù, il cane nero del quinto piano. Gaetano, il portiere dello stabile, vigilava, perché era una colonna portante. Così respirava la quieta città domestica di un tempo sicuro con i suoi stipendi fissi, la sua partita della domenica e il barbiere sotto casa. I genitori, tra di loro, discutevano dei figli, immaginandoli grandi, in un tempo diverso, ma pur sempre di pace.

Non è difficile immaginare l’abisso che si è spalancato a casa di Carlo e Maria Taibi quando sono arrivati i commilitoni dell’Arma, un anno meno cinque giorni fa, col viso in ombra e una notizia terribile: ‘Hanno ammazzato vostro figlio’.

Ogni tanto gli amici si incontrano da Nino, il barbiere. Ricordano il ragazzo di piazza Europa e a qualcuno viene da piangere, anche se cerca di nascondere una lacrima sul ciglio. I figli di piazza Europa, nel frattempo, sono partiti. Lavorano fuori Palermo. Non c’è più sicurezza, non c’è più pace, non c’è più estate.

Eppure, passando clandestinamente con la macchina, quando è buio, per acchiappare il respiro furtivo della nostalgia, sbirciando lassù, verso quel balcone del sesto piano del numero tredici, si avverte, alla luce azzurrina di un televisore, l’eco di una felicità antica e indistruttibile. Come se Mike Bongiorno fosse ancora qui.

 


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