"Boss, droga e sbirri infedeli": condanne per il clan di Brancaccio

“Boss, droga e sbirri infedeli”: condanne per il clan di Brancaccio

Quelle più pesanti sono state decise per i fratelli Stefano e Michele Marino

PALERMO – Sono i fratelli Stefano e Michele Marino gli imputati con le condanne più pesanti: rispettivamente 20 e 14 anni già ridotti di un terzo come previsto per chi sceglie il rito abbreviato. La sentenza è del giudice per l’udienza preliminare Ermelinda Marfia.

Il blitz della squadra mobile di Palermo nel 2019 colpì la mafia di Brancaccio. Stefano era già stato arrestato nel 2008, il fratello un anno dopo. Erano gli anni in cui la droga che si smerciava nel feudo dei fratelli Graviano veniva importata dalla Spagna .

Stefano Marino, 49 anni, prima che lo arrestassero, era stato latitante per alcuni mesi. Non si era fatto trovare a casa la notte del 7 febbraio 2008 quando agenti della Squadra mobile, del Servizio centrale operativo e del Fbi arrestarono più di sessanta persone. Erano i giorni dell’operazione ‘Old Bridge’.

La nuova mafia aveva riattivato il “vecchio ponte” con i boss emigrati negli States. Marino era accusato di aveva gestito numerose estorsioni e mantenuto i contatti con esponenti di rilievo di famiglie mafiose di diversi mandamenti. Lo arrestarono nell’estate successiva. Era latitante, ma al mare con moglie e figli. Gli agenti della sezione Criminalità organizzata lo scovarono in una villetta di Altavilla Milicia. Una volta finita di scontare la pena, Stefano Marino si era messo in affari nel settore dei servizi funebri

Nel 2017 saltò fuori che era lui il gestore di un’impresa totalmente in nero in corso dei Mille. ‘Onoranze funebri l’Orchidea’. Aveva allestito un presidio davanti all‘ospedale Buccheri La Ferla. Pretendeva una presenza h24 per evitare di perdere “clienti”: “Siccome sono passato da lì e non ho visto nessuno, ma com’è finita ?”, diceva ad uno dei suoi scagnozzi.

Nel maggio del 2009 in carcere finì il fratello Michele, che oggi ha 52 anni. Il blitz era lo stesso in cui venne coinvolto, Nino Sacco, considerato il capomafia di Brancaccio. A Marino, invece, che non aveva lo spessore di Stefano, toccava il lavoro sporco. Sporco come la truffa dei finti incidenti. Un’attività parecchio lucrosa che passa dal dolore fisico di chi è disposto a farsi spaccare braccia e gambe per ottenere i risarcimenti dalle compagnie di assicurazione.

Una volta scontate le pene i fratelli Marino si sarebbero ripreso il posto che gli spettava nello scacchiere della Cosa Nostra palermitana. E finirono di nuovo in carcere nel 2019.

Gli altri imputati condannati sono: Nicolò Giustiniani, 14 anni, Antonino Chiappara 10 mesi, Raffaele Costa, 6 anni e 8 mesi, Pietro Di Paola, 6 anni e otto mesi, Ignazio Ficarotta 11 anni e 10 mesi, Angelo Mangano 11 anni e un mese, Matteo Rovetto 6 mesi, Vincenzo Di Blasi 8 anni, Salvatore Puntaloro 1 anni e 2 mesi.

Assolti Sebastiano Giordano, Paolo Di Carlo e Massimiliano Vultaggio, difesi dagli avvocati Emanuele Manfredi, Riccardo Bellotta, Carmelo Adamo.

Secondo l’accusa, Michele e Stefano Marino, considerati organici alle famiglie di Corso dei Mille e Roccella, avevano il controllo di una vasta porzione di territorio nella zona dello Sperone. Si sarebbero occupati din un incarico delicato nelle dinamiche mafiose, la raccolta del denaro che serviva per il mantenimento dei familiari dei detenuti. Denaro che perlopiù arrivava dallo spaccio. Poi spuntarono pure truffe alle assicurazioni. I cosiddetti spaccaossa godevano della copertura dei fratelli a cui sarebbe andata andava la fetta più grossa dei risarcimenti. Alle vittime, scelte e “reclutate” in contesti di degrado e povertà, venivano pagate poche centinaia di euro.

Il pentito Antonino Pipitone ha raccontato di avere conosciuto i due fratelli in carcere a Taranto dove “Giovanni Asciutto e lo zio dei Marino, Sansone, entrambi uomini d’onore volevano organizzare l’affiliazione dei fratelli nella doccia”.

Dalle indagini venne poi fuori un particolare inquietante. L’ex poliziotto Vincenzo Di Blasi sarebbe stato un informatore dei mafiosi. E non era la prima volta che finiva nei guai giudiziari.

Nel 2006 fu lui ad avvisare il boss di Brancaccio di un imminente blitz e tre anni dopo a mettere in allarme Stefano Marino che sfuggì alla cattura nell’operazione “Old Bridge”. Ed ancora aveva consegnato agli amici di Brancaccio pettorine e palette della polizia. Si beccò una condanna a sei anni. Pena che Di Blasi ha finito di scontare nel 2013. I rapporti con Marino sono, però, proseguiti anche in tempi recenti. C’è ampia traccia nelle intercettazioni dei poliziotti della sezione Criminalità organizzata della squadra mobile che ieri lo hanno arrestato.

Nel settembre del 2018 Di Blasi avvisava Marino. Doveva stare attento a due macchine, “una color panna e una bianca, aspè… però stai attento meno… hanno preso queste macchine a noleggio… puoi vedere pure solo a uno nella macchina”. Ad avvertire Di Blasi era stato un uomo di cui si conosce solo il soprannome, “Pesce spada”. Di lui dicevano che fosse “persona seria”.


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