PALERMO – L’impianto accusatorio regge. Confermata la pioggia di condanna per capimafia e picciotti di Bagheria. La sentenza è della Corte d’appello di Palermo, presieduta da Angelo Pellino. Tra i vecchi boss sempre in auge, dopo avere scontato lunghe condanne, ci sarebbero stati Giuseppe Di Fiore e Nicolò Greco. Il primo sarebbe stato il braccio operativo del secondo, considerato la testa dell’acqua ma che nel frattempo è deceduto.
Quando Di Fiore fu arrestato, nel 2005, nel doppiofondo del comodino di casa nascondeva la lista dei commerciante da mungere con il racket. Nel 2014, anno del blitz Reset da cui è scaturito il processo, la storia si sarebbe ripetuta. Il pizzo lo hanno pagato 44 commercianti. Molti, seppure costretti dalle evidenze investigative, hanno ammesso di avere subito le angherie mafiose, e oggi sono stati risarciti.
Le indagini dei carabinieri del Nucleo investigativo hanno dato una chiave di lettura sulla stagione dei grandi summit di mafia culminata nell’incontro organizzato il 7 febbraio 2011 a Villa Pensabene. Allora sarebbe stato Giulio Caporrimo, reggente di San Lorenzo, a convocare il direttorio provinciale. I palermitani avevano capito che bisognava dialogare con i boss della provincia per serrare i ranghi dell’organizzazione. Decisive sono state le testimonianze dei collaboratori di giustizia Sergio Flamia ed Enzo Gennaro.
Tra i condannati ci sono nomi storici della Cosa nostra bagherese che offrì protezione a Bernardo Provenzano. Dell’elenco dei condannati fanno parte anche Michele Modica, di Casteldaccia, considerato affiliato alla mafia canadese, che nel 2004 scampò alla morte in un agguato a Montreal, ed Emanuele Cecala, originario di Caccamo, già coinvolto nell’inchiesta sul tentato omicidio dell’anziano boss Pietro Lo Iacono. Il primo è stato condannato all’ergastolo e il secondo a trent’anni per l’omicidio di Antonio Canu freddato il 28 gennaio 2005 a Caccamo. Chiedeva il pizzo senza senza che nessuno lo avesse autorizzato.
Tra le storie del racket c’è quella sfociata nel drammatico suicidio di un imprenditore. Un costruttore aveva denunciato i suoi estorsori. Poi, sommerso dai debiti, si tolse la vita.
Ecco l’elenco dei condannati e le rispettive pene: Salvatore Buglisi (un anno), Emanuele Cecala (30 anni), Giuseppe Di Fiore (14 anni e 8 mesi), Giovanni Di Salvo (7 anni e 2 mesi), Giovanni Pietro Flamia, detto “U’ Cardiddu” (11 anni e sei mesi), Carlo Guttadauro (8 anni e 8 mesi), Francesco Pipia (8 anni), Giovanni La Rosa (6 anni), Atanasio Ugo Lonforte (8 anni e cinque mesi), Nicolò Lipari (9 anni), Pietro Lo Coco (10 anni e 6 mesi), Andrea Lombardo (6 anni e 7 mesi), Fabio Messicati Vitale (3 anni e 6 mesi), Bartolomeo Militello (3 anni e 6 mesi), Michele Modica (ergastolo), Carmelo Nasta (3 anni), Francesco Pretesti (6 anni e 7 mesi), Giorgio Provenzano (11 ani e 6 mesi), Francesco Raspanti (4 anni e 8 mesi ), Paolo Salvatore Ribaudo (8 anni), Giovan Battista Rizzo (7 anni e 6 mesi)), Giovanni Salvatore Romano (6 anni e 4 mesi), Francesco Speciale (7 anni e 1 mese).
Annullata per una questione procedurale la condanna inflitta a Vincenzo Maccarrone (4 anni e 8 mesi), difeso dall’avvocato Tommaso De Lisi. E’ stato subito scarcerato così come Buglisi, difeso dall’avvocato Roberto Panepinto. Nel suo caso il reato di estorsione è stato derubricato in danneggiamento ed è caduta l’aggravante di mafia. Pena ridotta e immediata scarcerazione.
Il fascicolo torna in primo grado. Riconosciuto il risarcimento dei danni al Centro Pio La Torre, Associazione Antiracket e antiusura, Confesercenti. Sos impresa, Confindustria, Libero Futuro, associazione Solidaria, comitato Addiopizzo.