Pestaggio a Brancaccio: "Qui Messina Denaro..."

Pestaggio al cinema: “Brancaccio, violenza, Messina Denaro”

Parla il presidente del Centro Padre Nostro. Si parte della cronaca, per descrivere un contesto.
LA DENUNCIA DI ARTALE
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“Andremo a peggiorare, qui ci sono ragazzini che si atteggiano a boss, per cui Messina Denaro diventa un modello da seguire. L’assenza di un progetto educativo, a Brancaccio, si avverte”.

Maurizio Artale (a destra, nelle foto), presidente del Centro Padre Nostro, ha appreso, come tutti, la notizia delle botte nel cinema che insiste sul quartiere. Le indagini sono in corso, per chiarire gli aspetti della vicenda. Da tempo, Artale combatte la battaglia dell’asilo voluto da Padre Pino Puglisi che, al momento, sembra vinta. Ma c’è un deficit da recuperare. Il suo discorso prende spunto dalla cronaca di una violenza che riporta Brancaccio alla ribalta, senza entrare nel merito della vicenda specifica, per allargare la visuale sulla zona e sulle sue note complessità.

Quale è la situazione, Artale?
“Le scuole che ci sono fanno quello che possono, mancano i centri aggregativi che non ripartono. Si sente la mancanza della presa in carico di infanzia e adolescenza. Le ragazze e i ragazzi acquisiscono modelli negativi sul territorio e li sviluppano. La mafia, così, ingrassa”.

Anche Messina Denaro è un modello?
“Sicuramente. Molti giovani qui pensano che sia ‘un toco’, pure per il racconto che, mi dispiace, si porta avanti. E bisognerebbe sempre associare il suo nome a quello del povero Giuseppe Di Matteo, sciolto nell’acido”.

Ci sono ragazzi più a rischio?
“Sono, spesso, già nel giro peggiore. Vogliono fare i padroni. Vogliono comandare in modo sbagliato, con la prevaricazione. Dico in generale, meglio specificarlo, visto che si parla sempre di Brancaccio. Qui, i ragazzi vengono impiegati come vedette dello spaccio, con trenta euro al giorno, non vanno a scuola e non lavorano”.

Lei ne incontra tanti?
“Certo, e devi provare a indirizzarli. Parlavo di tatuaggi con un diciassettenne che mi teneva testa: ‘Non mi importa di avere il corpo macchiato, tanto ho le carte macchiate’. Capisce, a diciassette anni… Avere buoni maestri salva. Io sono stato fortunato e mi sono salvato”.

Qual è la sua storia?
“Vengo dalla strada, aprivamo le macchine con la banda. Un giorno, un carabiniere, come si dice, mi ha incocciato e inseguito. Non mi ha preso, ma io sono stato malissimo, ho avuto la febbre e, in quel momento, mi sono reso conto che dovevo cambiare vita. Appunto, sono stato fortunato a incontrare padre Mario Golesano, quando gli ho rotto i vetri della chiesa. Lui mi ha indicato il cammino”.

Altri, invece, no.
“Due amici miei sono stati ammazzati, per esempio. A Brancaccio, le situazioni di violenza accadono ogni giorno”.

La gente ha paura?
“Molta paura. La sera qui c’è il coprifuoco, nessuno esce di casa”.

E lei?
“Quando spengo le luci del centro e vado verso la macchina, tutto è buio, perché l’illuminazione non funziona. Ho solo la luce del telefonino per arrivare alla macchina….”. (rp)


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