La corsa contro il tempo è già scattata. Entro il 30 giugno, infatti, la Regione dovrà inviare a Bruxelles una lettera, definita tecnicamente “notifica preventiva dell’aiuto”, per salvare le grandi infrastrutture: dai porti agli aeroporti, dagli interporti alle autostrade. Nella black list dell’Unione europea sono già finiti l’Hub portuale di Augusta e l’interporto di Termini Imerese.
Ma la valanga, a cascata, potrebbe travolgere tutta l’Isola, mandando in fumo investimenti per oltre170 milioni di euro tra porti e aeroporti. Alla Regione, quindi il compito nei prossimi 15 giorni di dimostrare che i finanziamenti europei destinati alla Sicilia, regione ad obiettivo “convergenza”, rappresentano una precondizione di sviluppo e che dunque non sono inquadrabili come aiuti di Stato anche perché incapaci di creare squilibri o concorrenza sleale nel libero mercato.
Per comprendere fino in fondo l’entità del problema è necessario fare un passo indietro. E, precisamente, al marzo dell’anno scorso quando la Corte di giustizia europea si è pronunciata nei confronti dell’aeroporto di Lipsia (il cosiddetto caso Leipzig Halle) interpretando come “attività economica” un contratto di fornitura di energia elettrica. Sentenza che ha di fatto ampliato il campo di applicazione delle regole in materia di aiuti di Stato anche agli investimenti infrastrutturali (pure se realizzati da soggetti pubblici, come può essere un’Autorità portuale, e indipendentemente dal fatto che si tratti di regioni ad obiettivo “convergenza”) e nella misura in cui siano assimilabili ad attività economica, anche in termini di semplici canoni di concessione. “Per intenderci – spiega il presidente di Confindustria Palermo, Alessandro Albanese – secondo il nuovo corso dettato dall’Ue, è sufficiente che una qualsiasi infrastruttura che venga messa a disposizione a fronte del pagamento di un canone per incorrere nella procedura di infrazione sugli aiuti di Stato”. E la regola vale anche se a gestire l’opera è un soggetto pubblico come l’Autorità portuale che, così facendo, viene considerata alla stregua di un’impresa a tutti gli effetti. Con il risultato che il sostegno pubblico per la realizzazione di infrastrutture diventi suscettibile di costituire aiuto di Stato e quindi richieda una autorizzazione preventiva. Sì, perché la Commissione europea pare orientata a seguire una analisi “caso per caso”, passando al setaccio tutte le richieste di finanziamento. “Col rischio – aggiunge Albanese – che la quantità di notifiche che approderanno a Bruxelles crei un collo di bottiglia aggravando ulteriormente la situazione e il ritardo nelle realizzazioni delle opere”.
E oltre al danno c’è anche la beffa. Su Termini Imerese, ad esempio, da un lato l’Ue ha fatto marcia indietro bloccando di fatto i 50 milioni previsti per la realizzazione dell’opera e, dall’altro, ha confermato per il 31 dicembre 2015 il termine per il completamento dei lavori, pena l’obbligo di restituzione degli aiuti erogati. “Stiamo perdendo del tempo prezioso in attesa che la Regione invii a Bruxelles la notifica preventiva dell’aiuto, alla quale poi l’Ue dovrà rispondere entro 60 giorni”, dice Rodolfo De Dominicis, presidente della Sis (la Società per gli interporti Siciliani partecipata per il 20,5% dalla Regione, per il 12,06% dal Comune di Catania, per il 12,06% dalla Provincia di Catania, per il 7,9% dalla Provincia di Palermo e per l’1,3% dal Comune di Termini Imerese). E aggiunge: “Intanto saranno passati altri tre mesi e considerando il fatto che per la realizzazione delle due infrastrutture sono necessari almeno due anni e mezzo di lavori è chiaro che ogni giorno perso pesa come un macigno sulla realizzazione di un progetto che, una volta realizzato, consentirà il coordinamento con le infrastrutture di trasporto via strada, ferrovia e mare”.
In particolare, l’interporto di Catania prevede un polo intermodale di 125 mila metri quadrati e un polo logistico di 144 mila, mentre quello di Termini Imerese un polo di stoccaggio destinato ai carichi in attesa di essere movimentati, un terminal ferroviario per i servizi di scambio tra strada e ferrovia e un polo logistico per oltre 300 mila metri quadri. “Si tratta di un’opera – sottolinea il presidente di Confindustria Palermo – che dovrebbe diventare un polmone essenziale per la portualità siciliana anche nell’ottica del trasferimento delle navi da carico che oggi approdano a Palermo, che resterebbe in linea di massima destinato al traffico passeggeri”. “Ma se l’Ue non libera i fondi – continua De Dominicis – a rischiare di più è proprio Termini, visto che i 78 milioni necessari arrivano in gran parte (48 milioni) da Bruxelles e che, al momento, la comunicazione ufficiale l’abbiamo ricevuta solo per questo. Su Catania la situazione è meno critica perché il finanziamento a valere sul Pon è meno accentuato. Per intenderci, l’80 per cento si farebbe comunque”. Ed è su questo punto che Albanese, che è anche vicepresidente vicario della Sis, punta i piedi: “Obiettivo della Società interporti siciliani è quello di fare andare avanti le due opere di pari passo. La piattaforma logistica siciliana funziona solo con i due interporti. Ogni altro progetto è impensabile”. Tra l’altro, il progetto di Termini Imerese è in fase più avanzata rispetto a quello di Catania. La gara di concessione al futuro gestore, della durata di 25 anni, è stata infatti già completata e ad avere la meglio è stato il raggruppamento di imprese che fa capo alla Tecnis. “Ma siamo stati costretti a sospendere tutto – dice il presidente della Sis – in attesa di fare chiarezza”.
I tecnici del dipartimento regionale delle infrastrutture guidato da Vincenzo Falgares, intanto, sono al lavoro. E sul tavolo dell’assessorato non c’è solo l’Interporto di Termini Imerese, ma tutte quelle opere che sono suscettibili di procedura d’infrazione. “Stiamo effettuando un vero e proprio screening di tutti i cantieri – fanno sapere dalla Regione – così da capire preventivamente quali di questi sono destinati a subire la medesima sorte, così da intervenire tempestivamente”. E considerando il fatto che i casi di gestione in cui il concessionario non paga un canone sono estremamente limitati, soprattutto in un momento in cui la finanza pubblica non consente di provvedere all’intero finanziamento delle opere, la situazione appare davvero critica. “Per questo – aggiunge Albanese – abbiamo chiesto un intervento della rappresentanza di Confindustria a Bruxelles, ma anche della Regione e della Società interporti in modo da fare valere delle posizioni legittime. Finora è mancata, infatti, una politica forte in grado di far valere le proprie ragioni di fronte all’evidente tentativo di Bruxelles di disinvestire e recuperare risorse”. “Non possiamo perdere tempo – afferma il numero uno di Confindustria Sicilia, Antonello Montante – e dobbiamo andare fino in fondo. Il presidente Albanese mi ha passato il testimone per portare la vicenda in Confindustria nazionale e a Bruxelles e su questo ci stiamo muovendo”.