CALTANISSETTA – Tra i professionisti a cui Gaetano Cappellano Seminara si è rivolto negli anni c’è Lorenzo Caramma, ingegnere e marito di Silvana Saguto. Per l’accusa, l’intensificarsi dei loro rapporti di lavoro sarebbe stato frutto del patto corruttivo fra il magistrato e l’amministratore giudiziario.
Cappellano racconta che Caramma “mi fu presentato nel 2004 da un nostro consulente nella misura Finocchio, che era del presidente Vincenti (Cesare Vincenti che un tempo ha presieduto le misure di prevenzione di Palermo). Lo avevo incontrato perché per un periodo ho assistito delle compagnie di assicurazione e lui era stato nominato consulente della Procura in alcuni incidenti stradali. Era di fatto la mia controparte. Era un ingegnere qualificato, sempre disponile a qualsiasi ora, un grande lavoratore”.
Agli atti del processo risultano delle “duplicazioni di pagamenti” in favore di Caramma, pure lui imputato è che la scorsa settimana ha reso l’esame, rispondendo alle domande del suo legale, l’avvocato Antonio Sottosanti. Cappellano ammette le duplicazioni, usando la parola “discrasie”. A conti fatti in quindici anni di collaborazione su un totale di circa 780 mila euro, a tanto ammontano le parcelle incassate da Caramma nelle amministrazioni gestite da Cappellano Seminara, ci sono duplicazioni per circa ventimila euro. “C’era stato un errore nostro di controllo e di Caramma che non ci disse che aveva percepito di più – spiega Cappellano – ed è un errore a mio carico. In considerazione della gravità degli avvenimenti del processo ho dato incarico a dei professionisti stimati per sapere se Caramma sia stato rispettoso dei criteri di valutazione. Io non metto in dubbio quello che ha fatto, ma aspetto una risposta. Spero che li vogliate sentire. Io sono certo che quello che Caramma ha fatto per noi è stato meno che pagato. Altri tecnici hanno chiesto cifre sesquipedali per aver fatto meno”.
“Avrebbe potuto rilevare le discrasie?”, gli chiede l’avvocato Monaco: “Oggi sì che faccio molto meno nella mia attività lavorativa. È dimostrato che nonostante le discrasie di venti mila euro non ho arrecato danni alle società. Non mi vengono infatti contestate malversazioni. Il danno l’ho arrecato a me stesso. C’è stata una falla in un processo definito virtuoso e provocato dalla mano umana. Me ne sarei potuto accorgere in sede di rendiconto, ma non ho fatto in tempo perché mi sono dimesso dalle amministrazioni dopo l’inchiesta”.
Per spiegare la sua buona fede Cappellano ricostituisce il modus operandi della sua attività: “Io facevo delle anticipazioni con soldi miei, tutti fatturati, sul lavoro già svolto da miei consulenti e collaboratori. Lo facevo con persone, come l’ingegnere Caramma, che non avevano un gettone mensile. Io anticipavo le somme per consentire ai miei collaboratori di lavorare al meglio. Partivano, avevano spese da affrontare. Poi, quando venivamo pagati dall’erario conteggiavamo i soldi e li recuperavo”.
Una delle contestazioni del processo si parla di una somma liquidata a Caramma in eccesso rispetto al compenso congruo: “Lo contesto. È stato fatto un rapporto di proporzionalità fra un ingegnere stimato di Agrigento, Riccobene, e Caramma. Riccobene aveva lavorato una trentina di giorni e ha chiesto seimila e ottocento euro. Caramma si occupò dei mezzi come consulente tecnico da noi indicato. Io poi scrissi al Tribunale che i suoi 21 mila euro dovevano essere fatti gravare sul mio compenso perché non avendo le competenze mi ero rivolto a lui”.
Ci sono poi i 26 mila euro in contanti che Cappellano avrebbe dato a Caramma che li avrebbe poi versati sui conti di famiglia. Il tono di Cappellano si fa deciso: “Mai dato ad alcuno denaro in contante. L’unico denaro lo do a mio figlio per la settimanina. Non avevo motivo di darlo, lui ha lavorato e l’ho pagato con bonifico”.