Carissima Santuzza, liberaci da questa Palermo

Carissima Santuzza, liberaci da questa Palermo

La nostra lettera a Santa Rosalia. Con una richiesta precisa.

Carissima Santuzza, liberaci da questa Palermo. Dalle bare dei Rotoli, dalla brutta politica che le ha tollerate, dall’indifferenza di tutti quelli che non vanno al cimitero, dunque – pensano – che mi importa? Dalla rassegnazione piena di lacrime di chi sosta in quel luogo di pena e non sa più cosa sperare, mentre lancia un mazzo di fiori, cercando di centrare la bara giusta. Liberaci dalle parole che non risolvono, perché nascondono. Libera i poveri corpi dalla prigionia che subiscono, sotto un tendone bianco, accatastati come resti al supermercato.

Carissima Santuzza, liberaci da questa Palermo. Dalla tirannia dei politici che promettono, sapendo che non manterranno la promessa. Perché basterà soddisfare, singolarmente, un diritto, fingendo che sia un favore, e tenere alla catena un cittadino, trasformato in suddito. E ancora le scorgiamo certe facce senza rossore che, avendo esaurito la vecchia scorta delle bugie, ne inventano di nuove. E più bocche da sfamare ci saranno, più sarà facile estorcere il consenso.

Carissima Santuzza, liberaci da questa Palermo. Dalla sottomissione dei sudditi che dimenticano di essere cittadini. E chi lo fa per mettere il piatto a tavola, forse, non ha altro. Ma c’è chi lo fa, invece, per scelta, per agire da parassita e ottenere una fetta di potere con il suo calare la testa e ripetere sempre sì. Sono loro i veri responsabili, che costruiscono relazioni in cui si è schiavi o sovrani di qualcuno. E non c’è vaccino contro questo virus.

Carissima Santuzza, eccolo il tuo Festino numero trecentonovantotto. Da quasi quattrocento anni, passi in mezzo a noi con tuo carro e noi non sappiamo tentare altro che chiederti la grazia. Perché non riusciamo a combattere le nostre battaglie: e come potremmo mai vincerle? E abbiamo scambiato la tua presenza per un ufficio di collocamento delle urgenze, non per una esortazione alla bellezza, alla generosità e alla indipendenza che hanno illuminato la tua vita.

Carissima Santuzza, liberaci da questa Palermo. Da noi stessi, quando pensiamo che non tocchi a noi, che sia compito di qualcun altro cambiare e avere coraggio. Quando declamiamo l’elenco: “I Rotoli, la munnizza, il ciaffico”. E c’è sempre, in fondo al dolore, un po’ di compiacimento. Se le cose sono talmente pessime, perché proprio noi dovremmo metterci mano? Liberaci dalla rassegnazione, dall’indifferenza, dalla saggezza che non è saggia. Dacci uno sguardo capace di percepire la sofferenza che è compagna di viaggio della speranza. Carissima Santuzza, ora e per sempre, liberaci da questa Palermo. (Roberto Puglisi)


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