Catania, estorsioni: il boss, "Gli deve fare il mio nome" - Live Sicilia

Estorsioni imposte dal boss: “Lei gli deve fare il mio nome”

Un caso chiave di richiesta del pizzo: le vittime che avvertono il clan delle indagini e l'uomo che blocca gli "esattori".

CATANIA – Era il 2001 quando un rivenditore di bevande e generi alimentari all’ingrosso ha iniziato a pagare il pizzo. Il caso record è documentato dalle carte dell’operazione Tuppetturu, che questa settimana ha portato in carcere 24 persone. Quello del rivenditore di Taormina è un caso esemplare di come i clan gestiscono le estorsioni sul territorio.

Il pizzo in lire

Anche questo caso è raccontato da Carmelo Porto, uomo del clan Cintorino che ha iniziato a collaborare con la giustizia dopo il blitz Isolabella. Nessuno dei sei casi di estorsione documentati nell’indagine Tuppetturu, infatti, è stato denunciato dalle vittime, che si sono limitate a confermare i fatti dopo essere state convocate dalle forze dell’ordine.

La rivendita di bevande e alimentari all’ingrosso di Taormina, racconta Porto agli inquirenti, ha iniziato a pagare il pizzo nel 2001, con 500 mila lire al mese per un totale annuo di 6 milioni. Con l’euro la cifra è passata a 3 mila euro, riscossi ogni tre mesi in rate da 750 euro. Tutti i soldi finivano nelle casse del clan Cintorino, che nella zona ionico-etnea è il referente dei Cappello catanesi.

Le dichiarazioni delle vittime

Subito dopo le rivelazioni di Porto gli investigatori della Guardia di Finanza chiamano i titolari della rivendita, un padre e un figlio, per verificarei. I due confermano, raccontano che a prendere i soldi è stato, nell’ultimo periodo, Giuseppe Raneri, detto Peppe Castelmola, identificato dagli inquirenti come membro del clan Cintorino. In più le due vittime raccontano di essersi rivolti in un primo momento a un intermediario, per “ritoccare” la cifra dovuta.

Gli investigatori mostrano ai due titolari delle foto segnaletiche, da cui i due identificano le persone di cui hanno parlato. Poi i due titolari lasciano la caserma della Guardia di Finanza.

Le intercettazioni

Le vittime non sanno però di essere intercettate dagli investigatori della Finanza. Dopo l’interrogatorio i due titolari della rivendita di bevande parlano di avvisare gli estorsori del fatto di essere stati convocati dalle forze dell’ordine, per precisare anche che hanno rivelato il minimo indispensabile.

I due in particolare parlano di rintracciare un uomo preciso all’apice del clan, di cui non fanno il nome nemmeno tra di loro, per avvertirlo di essere stati sentiti dalle forze dell’ordine e anche per avvisarlo che tra le foto segnaletiche lui non c’era.

“Neanche una lira”

Parlando proprio di quest’uomo all’apice, uno dei due titolari dice di averlo incontrato poco tempo prima in un supermercato. L’uomo del clan ha chiesto alla vittima chi stesse riscuotendo il pizzo in quel periodo e poi gli ha detto di non pagare più soldi a nessuno, “evidentemente – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare del Gip – temendo proprio le indagini delle forze dell’ordine”.

La vittima però chiede cosa dire a un eventuale esattore nel caso si fosse presentato in azienda, e l’uomo risponde: “Lei gli deve nominare Spinella, u biundu: ha detto di non pagare neanche una lira”.

Chi è “u biundu”

Gli inquirenti, ascoltando le conversazioni, capiscono subito di chi si tratta: Mariano Spinella, nipote del capo clan Antonio Cintorino e uno dei 24 arrestati nell’operazione Tuppetturu, soprannominato in quel modo per il suo colore di capelli. “Effettivamente – si legge nell’ordinanza del Gip – la fotografia di costui non era inserita nell’album posto in visione” delle vittime nella caserma della Guardia di Finanza.

Spinella è indicato nelle carte dell’inchiesta come “soggetto in posizione apicale del clan” che di sicuro era a conoscenza dell’estorsione “e l’aveva attivata, o almeno avallata, atteso che si era interessato con la vittima di come essa stesse andando, di chi stava in quel momento riscuotendo il pizzo e di sospenderne il pagamento per evitare che gli inquirenti potessero effettuare ulteriori attività di indagine a riscontro o addirittura arresti nella flagranza del suo versamento”.

“Non ci sono problemi”

Più avanti uno dei titolari della rivendita è intercettato mentre si sfoga con un amico: è preoccupato per la convocazione in caserma, ha passato una notte insonne ed è andato a parlare con qualcuno del clan per spiegargli l’accaduto, dato che teme ripercussioni personali.

La vittima, scrive ancora il Gip nell’ordinanza di custodia, ha trovato proprio Mariano Spinella. A cui ha raccontato cosa è successo, e che lo ha tranquillizzato dicendogli: “Non ci sono problemi, stia tranquillo, non ci sono problemi, va bene”.


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