Catania, i Nizza, le spedizioni punitive, la pace: "Il momento degli affari"

I Nizza, le spedizioni punitive, la pace: “Il momento degli affari”

I summit fra le famiglie tra le pieghe dell'inchiesta Sangue blu. Da dove emergono racconti inquietanti.

CATANIA. Le esercitazioni al confine di uno Stato ostile, quella tecnica dei regimi di “mostrare i muscoli” per intimidire la controparte – o, magari, con lo scopo subdolo di trovare un pretesto per arrivare allo scontro armato – si usa pure all’interno di Cosa Nostra. E quando un summit di mafia finisce a “schifiu”, a Catania, può pure succedere che un gruppo decida di armare i suoi picciotti di kalashnikov e pistole e andare in centro tutti assieme a caccia dei nemici. Una spedizione punitiva in piena regola, armati fino ai denti, fallita perché i “rivali” non si fecero trovare. 

L’episodio, questa prova di forza del gruppo dei Nizza, risale grosso modo a due anni e mezzo fa. Il clan, in pochi minuti, caricò 20 scooter con 40 ragazzi a caccia di Melo Di Stefano, del gruppo dei Cursoti milanesi. L’obiettivo di colpirlo mirava a mettere in chiaro un concetto: loro, di certo, non avevano paura di nessuno. Del resto, quanto a “capacità militari”, l’esercito dei Nizza, questa pericolosa frangia del clan Santapaola-Ercolano, non aveva paura di nessuno. Neppure dello stesso boss Ciccio Napoli, l’ultimo dei loro capi, messo a comandare l’intero clan a Catania dopo l’uscita dal carcere, che anche per questa storia – e per la sua gestione della vicenda – non a caso avevano pure meditato di uccidere. Eppure quella volta, quando i Nizza e i Cursoti hanno seriamente rischiato la faida, era stato proprio Napoli a chiudere la faccenda senza mezzi termini, intervenendo in maniera netta e richiamando tutti all’unico vero valore riconosciuto dai mafiosi di oggi: il denaro. “Non dobbiamo fare la guerra, solo guadagnare soldi”. Poche parole, un concetto semplice che basta, evidentemente, a mettere da parte tutto il resto. Un successivo summit di mafia, alla presenza dello stesso Napoli – ma anche dei rappresentanti delle altre famiglie, del Villaggio Sant’Agata, di Picanello e della zia Lisa – avrebbe poi sancito l’armistizio tra i due litiganti. 

A riferire ai magistrati l’accaduto, che sembra un remake de Il Padrino, è stato Silvio Corra, già responsabile del gruppo dei Nizza, cognato di Angelo Santapaola (ucciso nel 2007), uno che da tempo ha deciso di saltare il fosso e diventare un collaboratore di giustizia. Vicino al gruppo dei Cursoti, infatti, ci sarebbero stati i fratelli Marletta, che stavano dando problemi ai Nizza. Filippo Marletta avrebbe infastidito la moglie di un capo della droga, andando persino a suonarle il campanello di casa. E suo fratello, Mario Marletta, dal canto suo, avrebbe avuto un debito con i Nizza. Nel primo caso, il comportamento di Filippo fu “lavato”, per così dire, con un pestaggio a sangue per strada, nella zona di via Acquicella porto. Di Stefano, a quel punto, essendo cugino di Marletta, sarebbe andato a cercare Corra, dicendogli di lasciarlo stare, da quel momento in poi, perché ne avrebbe risposto personalmente. Una posizione che fu rispettata dai Nizza, che del resto, ormai, si erano ampiamente sfogati, picchiandolo. Ben più complessa, invece, la situazione relativa al denaro.

Fu organizzato un vertice, che però si chiuse malamente di fronte al diniego dei Cursoti: “Mario Marletta – avrebbero sostenuto loro – non deve pagare niente”. Da qui la spedizione punitiva e il successivo intervento di Ciccio Napoli, che chiuse tutto. Un movente vecchio e poco nobile, insomma, il vile denaro; che paradossalmente, alla fine, grazie all’invito di Napoli di cooperare e mettere da parte ogni animo bellicoso in nome degli affari, sancì pure la risoluzione del conflitto. 


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