Sabato mattina. Al porto di Palermo sbarca, proveniente da Civitavecchia, una macchina che, secondo i magistrati, è nella disponibilità di Massimo Ciancimino. Alla guida non c’è il figlio dell’ex sindaco del capoluogo siciliano, ma una persona a lui vicina. Ad attenderlo trova gli agenti della direzione investigativa antimafia di Caltanissetta. Conducente e veicolo vengono passati al setaccio. Una perquisizione in piena regola. A caccia di cosa? Di documenti, senza dubbio. Quali, non è dato sapere.
Una cosa è certa, domani Ciancmino jr sarà sentito di nuovo dai magistrati nisseni e giovedì da quelli di Palermo che indagano sulla presunta trattativa fra la mafia e lo stato durante la stagione delle stragi del ’92 e sugli affari di don Vito. I pm stanno verificando le dichiarazioni del testimone, secondo cui ci sarebbe stato un ponte, di denaro, fra la Sicilia e Milano tra le fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta. In particolare, Ciancimino jr ha raccontato di avere sentito parlare di soldi dei clan finiti a Milano 2 per iniziativa della Edilnord dei due costruttori mafiosi: Antonio Buscemi, del mandamento di Passo di Rigano – Boccadifalco e Franco Bonura, dell’Uditore. Ciancimino jr e la sorella Luciana parlavano al telefono di un assegno dato a Silvio Berlusconi, quando non era ancora il presidente del consiglio ma il leader delle televisioni private. Il legale del premier, Nicolò Ghedini, ha sempre smentito che ci siano stati rapporti fra Berlusconi e don Vito.
Che gli agenti della Dia, sabato mattina, al porto di Palermo, fossero a caccia della fotocopia dell’assegno non ancora consegnato ai pm? O di altri documenti ritrovati nell’archivio, senza fine, dell’ex sindaco?