“Dell’origine e trasformazione del patrimonio del padre, Massimo Ciancimino era perfettamente a conoscenza, e non certo da epoche recenti, visto che già dal 1984, appena ventenne, venne impiegato proprio dal padre ‘per trasferire somme di denaro contante in libretti al portatore nelle mani di un altro prestanome, Di Trapani Josafat, condannato con la sentenza del 1992 per favoreggiamento reale verso Vito Ciancimino”. Lo scrive la Cassazione in uno dei passaggi della motivazione, depositata oggi, con la quale i Supremi giudici, il 5 ottobre scorso, hanno dichiarato prescritto il reato di intestazione fittizia dei beni di cui Ciancimino junior era accusato e confermato il reato di riciclaggio con una riduzione di pena a due anni e otto mesi (mentre in Apppello la Corte di Palermo, nel 2009,lo aveva condannato a 3 anni e 4 mesi).
La Seconda Sezione Penale, aveva anche annullato senza rinvio la condanna ad un anno inflitta in Appello a Epifania Scardino, madre di Ciancimino, imputata anche lei di fittizia intestazione di beni, reato dichiarato prescritto. Mentre uno sconto di pena(due anni e otto mesi contro i cinque dell’appello) è stato fatto al tributarista Gianni Lapis, che rispondeva di intestazione fittizia di beni (accusa prescritta) e tentata estorsione ai danni degli eredi di uno dei soci di don Vito.
“La sentenza impugnata – scrive la Cassazione – ha posto in risalto i vari passaggi societari che si sono succeduti fino alla morte di Vito Ciancimino, tutti caratterizzati da vorticosi trasferimenti di quote coinvolgenti i familiari dello stesso Lapis, rimasto vero dominus, nonché i Campodonico, definiti anch’essi longa manus del medesimo Lapis, al quale era direttamente riferibile la formale gestione dei conti esteri, quale il conto Mignon. La presenza occulta di Vito Ciancimino prima e Massimo Ciancimino, dopo la sua morte, si spiega solo con l’esigenza di rendere non tracciabile la genesi della provvista poi confluita nel ‘gruppo Gas’ e dunque sottrarre beni che avevano raggiunto una notevole consistenza dagli altrimenti scontati interventi in tema di misure di prevenzione patrimoniale in base alla legislazione antimafia”. La Corte ha confermato anche la confisca a Ciancimino di beni per 60 milioni di euro riconducibili, secondo l’accusa, al tesoro illecito accumulato dal padre, e questo nonostante la prescrizione, perché “l’illecita provenienza dei beni sottoposti a confisca risulta definitivamente cristallizzata al punto da vanificare la stessa presunzione di non colpevolezza”.
(Fonte ANSA)